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Pasolini e la gogna sessuale, di Carla Benedetti

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"ERETICO & CORSARO"

 
 
Pasolini e la gogna sessuale
di Carla Benedetti


La sessualità può svelare la verità su un individuo?
Nella Volontà di sapere Foucault mostra come questa pretesa sia intrecciata a una forma di potere e di sapere sorta in età moderna. Per gli antichi il sesso era il luogo del piacere, non quello in cui si rivela qualche verità sulla persona, e di esso si occupava l’ars erotica, non la psicoanalisi o la medicina. E’ solo all’inizio del XIX secolo che i piaceri considerati “perversi” vengono medicalizzati e meticolosamente classificati: omosessualità, masochismo, sadismo, pedofilia ecc. I segreti erotici vengono resi accessibili mediante confessione, fatta non più al sacerdote ma allo psichiatra o allo psicoanalista. Così nasce la scientia sexualis che per Foucault è la spia del “sonno antropologico” in cui è caduto il pensiero occidentale tra 800 e 900.

La sessualità può svelare la verità oltre che sull’individuo anche sulla sua opera?
E’ raro che la critica letteraria avanzi una tale pretesa. Salvo in un caso: Pier Paolo Pasolini. Quando si tratta delle sue opere la scientia sexualis si scatena in un singolare sessuocentrismo inerpretativo, che finisce a volte per sbaragliare ogni altro sapere, filologico e filosofico.
Un esempio. Sul “Corriere della sera” del 1 marzo scorso Pietro Citati recensiva Qualcosa di scritto di Emanuele Trevi con queste parole: “Ai tempi di Petrolio, Pasolini aveva quasi completamente perduto la squisita gioia erotica, che aveva dato tenerezza e morbidezza alle sue opere giovanili … Ora voleva essere posseduto, dominato, violentato … Solo così poteva contemplare il sacro”.
Citati, uno dei critici letterari più accreditati, dice di non conoscere Petrolio. Ma pur non conoscendo l’opera, aderisce con entusiasmo alla lettura che ne fa Trevi, tutta incentrata sulla sessualità di Pasolini e le sue ritualità sado-maso, mangiandosi ogni altra considerazione sull’opera. Trevi definisce Petrolio “cronaca di un’iniziazione” o anche “libro sacro”, proprio per il suo carattere iniziatico (un “movimento di metamorfosi-iniziazione-morte innescato senza possibilità di ripensamento o passi indietro”) e che ha molti punti di contatto con i riti dei misteri eleusini. Un libro perciò comprensibile solo da “iniziati”, cioè da chi abbia “familiarità con la violenza e soprattutto con la ritualità sadomaso”. E infatti secondo Trevi, un solo studioso ha finora potuto comprenderlo, Massimo Fusillo, non perché più bravo ma perché ha la “vocazione” del “Master” e “una delle sue pratiche preferite è lo spanking, ovvero le sculacciate”.
Petrolio quindi non parla del potere, di come attrae gli individui, degli effetti che ha sulle loro vite, della mutazione antropologica, dell’Italia delle stragi, del lucore cosmico, della sopravvivenza dell’arcaico nel moderno e di molto altro? No. Parla solo di cose interne al soggetto che scrive: “Tutto quello che Pasolini scriveva negli ultimi anni era il frutto di un scoperta che riguardava lui stesso, non il mondo esterno”. Una cosa simile forse non si direbbe nemmeno di un cane che abbaia nella notte. Giacché se il padrone si sveglia e va a vedere se c’è un ladro, vuol dire che interpreta quel baccano come riguardante il mondo esterno, non gli stati d’animo dell’animale. E quale sarebbe poi la “scoperta” che Pasolini avrebbe fatto su se stesso? Sempre la stessa: “il fascino della violenza, il desiderio di subire, di sottomettersi”.
Io non sono tra quelli che negano in via di principio che elementi della biografia dell’autore possano arricchire la comprensione di un’opera. Come si potrebbe del resto dimenticare l’omosessualità di Proust leggendo la Recherche? O, leggendo L’idiota, che Dostoevskij soffriva di epilessia? Ma per Pasolini si verifica qualcosa di più singolare. Le pratiche erotiche estreme a cui si dice che lo scrittore si dedicasse negli ultimi anni e notti della sua vita diventano l’unica chiave interpretativa dell’opera. Non quella che arricchisce l’interpretazione, ma quella che la esaurisce.
Non credo sia dia l’analogo per altri autori pur con biografie erotiche d’eccezione, sia etero che omosessuali. Nemmeno per de Sade. A romanzi come La filosofia nel boudoir o Le 120 giornate di Sodoma non si nega di poter significare qualcosa di più dell’eros dell’autore, di dire delle verità sulla natura umana, sulla società, di esprimere un pensiero, persino una critica dell’illuminismo. Alle ultime opere di Pasolini lo si nega spesso. Cominciò Sanguineti a dire che Petrolio e Salò non erano che documenti di una patologia. Fortini parlò di “illeggibile referto di un’autodistruzione”. Il curatore dell’opera omnia di Pasolini, Walter Siti, chiude quel monumento di migliaia e migliaia di pagine invitandoci a leggere, in quella proliferante scrittura, il sintomo di una tendenza “masochistica” a “mettere in piazza” i “panni sporchi” per “autodistruggersi”. Si noti: documenti, referti, cronache, sintomi, ma non opere. Per loro Pasolini non produce romanzi o film. Pasolini si confessa. E senza bisogno di medico o psicoanalista. La confessione è la sua opera. Di cosa è sintomo questa tendenza di tanti letterati italiani a ridurre l’opera di Pasolini a sintomo o confessione?

La sessualità può svelare la verità oltre che sull’individuo e la sua opera, anche sul suo omicidio?
Delle tre questa è la pretesa più aberrante. Dalle abitudini sessuali della vittima si vuole dedurre la matrice sessuale dell’omicidio (su cui invece non c’è alcuna certezza). Come dire: uno dedito a quel tipo di esperienze erotiche non può che morire ammazzato. Tanto va la gatta al lardo… Qui non viene meno solo il rigore ermeneutico ma anche la logica e il senso civile della verità, che non si fermano a ciò che è verosimile, ma chiedono fatti e prove.
“La follia sacra che distrusse Pasolini” è il titolo che il “Corriere” ha dato all’articolo di Citati. In che senso lo distrusse? Nello spirito o nel corpo massacrato all’Idroscalo? Questa disinvoltura nel passare dal piano metaforico al fattuale, facendo collassare le categorie logiche in una torbida melassa sessuo-misteriosofica, si riscontra anche nelle dichiarazioni di Nico Naldini (cugino e biografo di Pasolini), nei cinque libri di Giuseppe Zigaina (scritti per dimostrare che Pasolini avrebbe “organizzato” la propria morte per entrare nel mito), nel pamphlet di Marco Belpoliti Pasolini in salsa piccante, che sostiene fideisticamente la matrice sessuale dell’omicidio, invitando a non parlarne più.
Trevi è più prudente, ma si muove nella stessa ambiguità: “Nessuna iniziazione può aggirare la necessità della morte. Perché possa accedere alla visione suprema (…) l’uomo dovrà sbarazzarsi di se stesso”. Di nuovo, si parla di morte rituale o reale? Di morte cercata o inferta a tradimento? Per lui non c’è ragione di disambiguare. Tanto Pasolini si era già trasformato in uno “spettro” ben “prima della notte dell’Idroscalo”.
Io non so chi abbia ucciso Pasolini né se l’omicidio sia di matrice “politica”. Non ho certezze. Perciò non mi riconosco nella categoria dei “complottisti” che Trevi (con la stessa superficialità di ragionamento che Pierluigi Battista usa da anni sul “Corriere”) appiccica su tutti coloro che chiedono di far luce su quel delitto ancora oscuro. Quello che so, come chiunque abbia seguito la vicenda, è che la versione ufficiale della morte per rissa sessuale vacilla sempre più sotto le contraddizioni emerse e rese pubbliche negli ultimi anni. Gli scrittori e i giornalisti che continuano a ricamare sulla “bella” morte, “sacrificale” o “iniziatica”, del poeta omosessuale, forse non si rendono conto di contribuire all’occultamento della verità?


(Questo articolo è uscito in una versione più breve su “Venerdì” di “Repubblica” dell'8 giugno 2012)





di Carla Benedetti,
http://www.ilprimoamore.com/blog/

 

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Le ceneri di Gramsci

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Le ceneri di Gramsci 
Le ceneri di Gramsci da nome alla raccolta di poesie di Pier Paolo Pasolini pubblicata da Garzanti nel 1957.
 
 
I
Non è di maggio questa impura aria
che il buio giardino straniero
fa ancora più buio, o l'abbaglia
con cieche schiarite... questo cielo
di bave sopra gli attici giallini
che in semicerchi immensi fanno velo
alle curve del Tevere, ai turchini
monti del Lazio... Spande una mortale
pace, disamorata come i nostri destini,
tra le vecchie muraglie l'autunnale
maggio. In esso c'è il grigiore del mondo,
la fine del decennio in cui ci appare
tra le macerie finito il profondo
e ingenuo sforzo di rifare la vita;
il silenzio, fradicio e infecondo...
Tu giovane, in quel maggio in cui l'errore
era ancora vita, in quel maggio italiano
che alla vita aggiungeva almeno ardore,
quanto meno sventato e impuramente
sano
dei nostri padri - non padre, ma umile
fratello - già con la tua magra mano
delineavi l'ideale che illumina
(ma non per noi: tu morto, e noi
morti ugualmente, con te, nell'umido
giardino) questo silenzio. Non puoi,
lo vedi?, che riposare in questo sito
estraneo, ancora confinato. Noia
patrizia ti è intorno. E, sbiadito,
solo ti giunge qualche colpo d'incudine
dalle officine di Testaccio, sopito
nel vespro: tra misere tettoie, nudi
mucchi di latta, ferrivecchi, dove
cantando vizioso un garzone già chiude
la sua giornata, mentre intorno spiove.
II
Tra i due mondi, la tregua, in cui non
siamo.
Scelte, dedizioni... altro suono non hanno
ormai che questo del giardino gramo
e nobile, in cui caparbio l'inganno
che attutiva la vita resta nella morte.
Nei cerchi dei sarcofaghi non fanno
che mostrare la superstite sorte
di gente laica le laiche iscrizioni
in queste grigie pietre, corte
e imponenti. Ancora di passioni
sfrenate senza scandalo son arse
le ossa dei miliardari di nazioni
più grandi; ronzano, quasi mai
scomparse,
le ironie dei principi, dei pederasti,
i cui corpi sono nell'urne sparse
inceneriti e non ancora casti.
Qui il silenzio della morte è fede
di un civile silenzio di uomini rimasti
uomini, di un tedio che nel tedio
del Parco, discreto muta: e la città
che, indifferente, lo confina in mezzo
a tuguri e a chiese, empia nella pietà,
vi perde il suo splendore. La sua terra
grassa di ortiche e di legumi dà
questi magri cipressi, questa nera
umidità che chiazza i muri intorno
a smotti ghirigori di bosso, che la sera
rasserenando spegne in disadorni
sentori d'alga... quest'erbetta stenta
e inodora, dove violetta si sprofonda
l'atmosfera, con un brivido di menta,
o fieno marcio, e quieta vi prelude
con diurna malinconia, la spenta
trepidazione della notte. Rude
di clima, dolcissimo di storia, è
tra questi muri il suolo in cui trasuda
altro suolo; questo umido che
ricorda altro umido; e risuonano
- familiari da latitudini e
orizzonti dove inglesi selve coronano
laghi spersi nel cielo, tra praterie
verdi come fosforici biliardi o come
smeraldi: "And O ye Fountains..." - le pie
invocazioni...
 
III
Uno straccetto rosso, come quello
arrotolato al collo ai partigiani
e, presso l'urna, sul terreno cereo,
diversamente rossi, due gerani.
Lì tu stai, bandito e con dura eleganza
non cattolica, elencato tra estranei
morti: Le ceneri di Gramsci... Tra
speranza
e vecchia sfiducia, ti accosto, capitato
per caso in questa magra serra, innanzi
alla tua tomba, al tuo spirito restato
quaggiù tra questi liberi. (O è qualcosa
di diverso, forse, di più estasiato
e anche di più umile, ebbra simbiosi
d'adolescente di sesso con morte...)
E, da questo paese in cui non ebbe posa
la tua tensione, sento quale torto
- qui nella quiete delle tombe - e insieme
quale ragione - nell'inquieta sorte
nostra - tu avessi stilando le supreme
pagine nei giorni del tuo assassinio.
Ecco qui ad attestare il seme
non ancora disperso dell'antico dominio,
questi morti attaccati a un possesso
che affonda nei secoli il suo abominio
e la sua grandezza: e insieme, ossesso,
quel vibrare d'incudini, in sordina,
soffocato e accorante - dal dimesso
rione - ad attestarne la fine.
Ed ecco qui me stesso... povero, vestito
dei panni che i poveri adocchiano in
vetrine
dal rozzo splendore, e che ha smarrito
la sporcizia delle più sperdute strade,
delle panche dei tram, da cui stranito
è il mio giorno: mentre sempre più rade
ho di queste vacanze, nel tormento
del mantenermi in vita; e se mi accade
di amare il mondo non è che per violento
e ingenuo amore sensuale
così come, confuso adolescente, un tempo
l'odiai, se in esso mi feriva il male
borghese di me borghese: e ora, scisso
- con te - il mondo, oggetto non appare
di rancore e quasi di mistico
disprezzo, la parte che ne ha il potere?
Eppure senza il tuo rigore, sussisto
perché non scelgo. Vivo nel non volere
del tramontato dopoguerra: amando
il mondo che odio - nella sua miseria
sprezzante e perso - per un oscuro
scandalo
della coscienza...
 
IV
Lo scandalo del contraddirmi,
dell'essere
con te e contro te; con te nel core,
in luce, contro te nelle buie viscere;
del mio paterno stato traditore
- nel pensiero, in un'ombra di azione -
mi so ad esso attaccato nel calore
degli istinti, dell'estetica passione;
attratto da una vita proletaria
a te anteriore, è per me religione
la sua allegria, non la millenaria
sua lotta: la sua natura, non la sua
coscienza: è la forza originaria
dell'uomo, che nell'atto s'è perduta,
a darle l'ebbrezza della nostalgia,
una luce poetica: ed altro più
io non so dirne, che non sia
giusto ma non sincero, astratto
amore, non accorante simpatia...
Come i poveri povero, mi attacco
come loro a umilianti speranze,
come loro per vivere mi batto
ogni giorno. Ma nella desolante
mia condizione di diseredato,
io possiedo: ed è il più esaltante
dei possessi borghesi, lo stato
più assoluto. Ma come io possiedo la
storia,
essa mi possiede; ne sono illuminato:
ma a che serve la luce?
V
Non dico l'individuo, il fenomeno
dell'ardore sensuale e sentimentale...
altri vizi esso ha, altro è il nome
e la fatalità del suo peccare...
Ma in esso impastati quali comuni,
prenatali vizi, e quale
oggettivo peccato! Non sono immuni
gli interni e esterni atti, che lo fanno
incarnato alla vita, da nessuna
delle religioni che nella vita stanno,
ipoteca di morte, istituite
a ingannare la luce, a dar luce
all'inganno.
Destinate a esser seppellite
le sue spoglie al Verano, è cattolica
la sua lotta con esse: gesuitiche
le manie con cui dispone il cuore;
e ancor più dentro: ha bibliche astuzie
la sua coscienza... e ironico ardore
liberale... e rozza luce, tra i disgusti
di dandy provinciale, di provinciale
salute... Fino alle infime minuzie
in cui sfumano, nel fondo animale,
Autorità e Anarchia... Ben protetto
dall'impura virtù e dall'ebbro peccare,
difendendo una ingenuità di ossesso,
e con quale coscienza!, vive l'io: io,
vivo, eludendo la vita, con nel petto
il senso di una vita che sia oblio
accorante, violento... Ah come
capisco, muto nel fradicio brusio
del vento, qui dov'è muta Roma,
tra i cipressi stancamente sconvolti,
presso te, l'anima il cui graffito suona
Shelley... Come capisco il vortice
dei sentimenti, il capriccio (greco
nel cuore del patrizio, nordico
villeggiante) che lo inghiottì nel cieco
celeste del Tirreno; la carnale
gioia dell'avventura, estetica
e puerile: mentre prostrata l'Italia
come dentro il ventre di un'enorme
cicala, spalanca bianchi litorali,
sparsi nel Lazio di velate torme
di pini, barocchi, di giallognole
radure di ruchetta, dove dorme
col membro gonfio tra gli stracci un
sogno
goethiano, il giovincello ciociaro...
Nella Maremma, scuri, di stupende fogne
d'erbasaetta in cui si stampa chiaro
il nocciolo, pei viottoli che il buttero
della sua gioventù ricolma ignaro.
Ciecamente fragranti nelle asciutte
curve della Versilia, che sul mare
aggrovigliato, cieco, i tersi stucchi,
le tarsie lievi della sua pasquale
campagna interamente umana,
espone, incupita sul Cinquale,
dipanata sotto le torride Apuane,
i blu vitrei sul rosa... Di scogli,
frane, sconvolti, come per un panico
di fragranza, nella Riviera, molle,
erta, dove il sole lotta con la brezza
a dar suprema soavità agli olii
del mare... E intorno ronza di lietezza
lo sterminato strumento a percussione
del sesso e della luce: così avvezza
ne è l'Italia che non ne trema, come
morta nella sua vita: gridano caldi
da centinaia di porti il nome
del compagno i giovinetti madidi
nel bruno della faccia, tra la gente
rivierasca, presso orti di cardi,
in luride spiaggette...
Mi chiederai tu, morto disadorno,
d'abbandonare questa disperata
passione di essere nel mondo?
 
VI
Me ne vado, ti lascio nella sera
che, benché triste, così dolce scende
per noi viventi, con la luce cerea
che al quartiere in penombra si
rapprende.
E lo sommuove. Lo fa più grande, vuoto,
intorno, e, più lontano, lo riaccende
di una vita smaniosa che del roco
rotolio dei tram, dei gridi umani,
dialettali, fa un concerto fioco
e assoluto. E senti come in quei lontani
esseri che, in vita, gridano, ridono,
in quei loro veicoli, in quei grami
caseggiati dove si consuma l'infido
ed espansivo dono dell'esistenza -
quella vita non è che un brivido;
corporea, collettiva presenza;
senti il mancare di ogni religione
vera; non vita, ma sopravvivenza
- forse più lieta della vita - come
d'un popolo di animali, nel cui arcano
orgasmo non ci sia altra passione
che per l'operare quotidiano:
umile fervore cui dà un senso di festa
l'umile corruzione. Quanto più è vano
- in questo vuoto della storia, in questa
ronzante pausa in cui la vita tace -
ogni ideale, meglio è manifesta
la stupenda, adusta sensualità
quasi alessandrina, che tutto minia
e impuramente accende, quando qua
nel mondo, qualcosa crolla, e si trascina
il mondo, nella penombra, rientrando
in vuote piazze, in scorate officine...
Già si accendono i lumi, costellando
Via Zabaglia, Via Franklin, l'intero
Testaccio, disadorno tra il suo grande
lurido monte, i lungoteveri, il nero
fondale, oltre il fiume, che Monteverde
ammassa o sfuma invisibile sul cielo.
Diademi di lumi che si perdono,
smaglianti, e freddi di tristezza
quasi marina... Manca poco alla cena;
brillano i rari autobus del quartiere,
con grappoli d'operai agli sportelli,
e gruppi di militari vanno, senza fretta,
verso il monte che cela in mezzo a sterri
fradici e mucchi secchi d'immondizia
nell'ombra, rintanate zoccolette
che aspettano irose sopra la sporcizia
afrodisiaca: e, non lontano, tra casette
abusive ai margini del monte, o in mezzo
a palazzi, quasi a mondi, dei ragazzi
leggeri come stracci giocano alla brezza
non più fredda, primaverile; ardenti
di sventatezza giovanile la romanesca
loro sera di maggio scuri adolescenti
fischiano pei marciapiedi, nella festa
vespertina; e scrosciano le
saracinesche
dei garages di schianto, gioiosamente,
se il buio ha resa serena la sera,
e in mezzo ai platani di Piazza Testaccio
il vento che cade in tremiti di bufera,
è ben dolce, benché radendo i capellacci
e i tufi del Macello, vi si imbeva
di sangue marcio, e per ogni dove
agiti rifiuti e odore di miseria.
È un brusio la vita, e questi persi
in essa, la perdono serenamente,
se il cuore ne hanno pieno: a godersi
eccoli, miseri, la sera: e potente
in essi, inermi, per essi, il mito
rinasce... Ma io, con il cuore cosciente
di chi soltanto nella storia ha vita,
potrò mai più con pura passione operare,
se so che la nostra storia è finita?
1954
Gramsci è sepolto in una piccola tomba del Cimitero degli Inglesi, tra Porta San Paolo e Testaccio, non lontano dalla tomba di Shelley. Sul cippo si leggono solo le parole: "Cinera Gramsci" con le date.

Fonte:
http://www.club.it/autori/grandi/pierpaolo.pasolini/leceneri.html


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Pasolini - Io sono di natura molto allegra.

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L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo. Essere laici, liberali, non significa nulla, quando manca quella forza morale che riesca a vincere la tentazione di essere partecipi a un mondo che apparentemente funziona, con le sue leggi allettanti e crudeli. Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società.

***

I beni superflui rendono superflua la vita.

***

Non è affatto vero che io non credo nel progresso, io credo nel progresso. Non credo nello sviluppo. E nella fattispecie in questo sviluppo. Ed è questo sviluppo che da alla mia natura gaia una svolta tremendamente triste, quasi tragica.

***

Amo ferocemente, disperatamente la vita. E credo che questa ferocia, questa disperazione mi porteranno alla fine. Amo il sole, l’erba, la gioventù. L’amore per la vita è divenuto per me un vizio più micidiale della cocaina. Io divoro la mia esistenza con un appetito insaziabile. Come finirà tutto ciò? Lo ignoro.


 
 
 
“Sono caduti dei modelli di comportamento e sono stati sostituiti da altri modelli di comportamento. Questa sostituzione non è stata voluta dalla gente, dal basso, ma sono stati imposti dal nuovo potere...”  
*

“La mia corsa non e' una
cavalcata ma un essere
trascinato via con il corpo
che sbatte sulla polvere
e sulle pietre.”
 

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Pasolini, le Celebrazioni su Rai Cultura

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Celebrazioni
su Rai Cultura


Rai Storia, Rai scuola e Rai 5 celebrano così il 40° Anniversario dalla morte di Pier Paolo Pasolini.

Rai Storia


Mercoledì 28/10/2015
ore 19.00 – dur. 30’
Storie della Letteratura - Le ceneri di Pasolini di Isabella Donfrancesco e di Alessandra Urbani, regia di Laura Vitali
Dacia Maraini, Piero Gelli (suo primo editor per Garzanti) e Ninetto Davoli raccontano la dimensione personale, intellettuale, artistica e civile di Pier Paolo Pasolini.

Mercoledì 28/10/2015
ore 23.30 - dur. 01h 28’
Comizi d'amore, 1965, regia di P. P. Pasolini.
La celebre inchiesta itinerante di Pasolini: le opinioni degli italiani sull'amore e sul sesso.

Giovedì 29/10/2015
ore 23.30 – dur. 17’
Pasolini in Terra Santa, 1968, regia di Angelo D'Alessandro.
I luoghi dove visse e predicò Gesù vengono commentati da Pier Paolo Pasolini attraverso le immagini del viaggio del regista in Palestina impegnato, anni prima, a realizzare il film "Il Vangelo secondo Matteo".

  Venerdì 30/10/2015
ore 23.30 – dur. 32’
Tv7 – Appunti per un film sull'India, 1968, regia di P. P. Pasolini.
Un taccuino di viaggio: l'India dal mito alla realtà, in un documentario realizzato da Pasolini per "Tv7".

  Sabato 31/10/2015
ore 21.30 – dur. 58’
Eco della Storia – Pier Paolo Pasolini. Rabbia, passione, ideologia (1^tx), regia di Nicoletta Nesler
"Abbiamo perso un poeta e di poeti in un secolo non ne nascono tanti". Queste le parole di Alberto Moravia dopo la tragica morte di Pasolini il 2 novembre 1975. Eco della Storia ospita Walter Veltroni per fare un percorso nella vita e nel pensiero dell'ultimo grande intellettuale italiano.

ore 23.30 – dur. 58’
III B: Facciamo l'appello – Pier Paolo Pasolini, 1971, di Enzo Biagi, regia di Pier Paolo Ruggerini.
È il 1971 e Pier Paolo Pasolini incontra i suoi vecchi compagni di scuola nella celebre trasmissione di Enzo Biagi "III B: Facciamo l'appello".

  Domenica 1/11/2015
ore 18.00 – dur. 1h 18’
Punti di Vista – La rabbia di Pasolini, 2008, regia di P.P. Pasolini, realizzazione di Giuseppe Bertolucci.
Nel 1963 Pier Paolo Pasolini, realizza un film che analizza polemicamente i fenomeni e i conflitti sociali e politici del mondo moderno. Nel 2008 Giuseppe Bertolucci riorganizza il film pasoliniano, aggiungendo all'episodio già noto la ricostruzione dei sedici minuti mancanti, ricostruzione effettuata utilizzando materiali filmati dell'epoca (cinegiornali), dalla morte di De Gasperi all'avvento della televisione.

  ore 20.30 e 23.30– dur.43'
Il Tempo e la Storia – Pasolini e la fede, Massimo Bernardini in studio con lo storico Alberto Melloni.
Uno dei  più complessi e trasgressivi  intellettuali del '900: Pier Paolo  Pasolini. Il prof. Melloni analizza il suo rapporto con la fede e la religione.

Ore 01.40 – dur. 09'
Pasolini intervista Ezra Pound (replica) 1968, di P.P. Pasolini
Pier Paolo Pasolini nell'autunno del 1968 incontra per la prima volta, a Venezia, il poeta americano Ezra Pound.

Ore 01.50 - dur. 01h 28'
Comizi d'amore, 1965, regia di P. P. Pasolini.
La celebre inchiesta itinerante di Pasolini: le opinioni degli italiani sull'amore e sul sesso.

Ore 03:15 - dur. 17'
Pasolini in Terra Santa, 1968, regia di Angelo D'Alessandro.
I luoghi dove visse e predicò Gesù vengono commentati da Pier Paolo Pasolini attraverso le immagini del viaggio del regista in Palestina impegnato, anni prima, a realizzare il film "Il Vangelo secondo Matteo".

Ore 03:30 - dur. 32'
Tv7 – Appunti per un film sull'India, 1968, regia di P. P. Pasolini.
Un taccuino di viaggio: l'India dal mito alla realtà, in un documentario realizzato da Pasolini per "Tv7".

Ore 04:05 - dur. 58'
III B: Facciamo l'appello – Pier Paolo Pasolini, 1971, di Enzo Biagi, regia di Pier Paolo Ruggerini.
È il 1971 e Pier Paolo Pasolini incontra i suoi vecchi compagni di scuola nella celebre trasmissione di Enzo Biagi "III B: Facciamo l'appello".

Ore 05:00 - dur. 45'
Il sogno di una cosa - 1943-1949 Pasolini in Friuli, 1976, di Francesco Bortolini, regia di Nino Zanchin.
Il documentario vuole ricordare la figura dell'intellettuale "distaccandosi dalla facile retorica e dalla commemorazione convenzionale" e pone l'attenzione su un periodo poco esplorato della vita di Pasolini, gli anni giovanili vissuti in Friuli, attraverso le testimonianze di quanti conobbero e frequentarono il giovane Pasolini.

Ore 05.45 - dur. 43'
Il Tempo e la Storia – Pasolini e la fede, Massimo Bernardini in studio con lo storico Alberto Melloni.
Uno dei  più complessi e trasgressivi  intellettuali del '900: Pier Paolo  Pasolini. Il prof. Melloni analizza il suo rapporto con la fede e la religione.

Ore 06:30 – dur. 30'
Storie della Letteratura – Le ceneri di Pasolini (1^ tx) di Isabella Donfrancesco e di Alessandra Urbani, regia di Laura Vitali
Dacia Maraini, Piero Gelli (suo primo editor per Garzanti) e Ninetto Davoli raccontano la dimensione personale, intellettuale, artistica e civile di Pier Paolo Pasolini.

Ore 07:00 – dur. 28'
Storie sospette -  Pier Paolo Pasolini (replica) di G. Borgna, G. Governi, regia di Silvio Governi.
Un'inchiesta sui retroscena della morte di Pier Paolo Pasolini.

Ore 07:30 – dur. 52'
Eco della Storia – PIER PAOLO PASOLINI. Rabbia, passione, ideologia (1^tx), conduce Gianni Riotta, regia di Nicoletta Nesler
"Abbiamo perso un poeta e di poeti in un secolo non ne nascono tanti". Queste le parole di Alberto Moravia dopo la tragica morte di Pasolini il 2 novembre 1975. Eco della Storia ospita Walter Veltroni per fare un percorso nella vita e nel pensiero dell'ultimo grande intellettuale italiano.

Lunedì 2/11/2015
ore 11.50 e 20.30 – dur. 09'
Pasolini intervista Ezra Pound (replica) 1968, di P.P. Pasolini
Pier Paolo Pasolini, visibilmente emozionato, nell'autunno del 1968 incontra per la prima volta, a Venezia, il poeta americano Ezra Pound.

  ore 19.30 – dur. 59'
Un uomo fioriva, 2013, regia di Enzo Lavagnini.
Un racconto dell'esperienza romana di Pasolini, l'incontro con la bellezza della Capitale e il primo impatto con la vita di borgata.

Rai Tre


Lunedì 2/11/2015
ore 13,10
ore 20.50 – dur. 43'
Il Tempo e la Storia –– Pasolini e l'Italia. Lo sguardo di un eretico (1^tx) Massimo Bernardini in studio con lo storico Giovanni De Luna
Una nuova puntata del programma di approfondimento storico condotto da Massimo Bernardini.

  ore 23.30 – dur. 28'
Storie sospette - Pier Paolo Pasolini di G. Borgna, G. Governi, regia di Silvio Governi.
Un'inchiesta sui retroscena della morte di Pier Paolo Pasolini.

Martedì 3/11/2015
ore 22.00 – dur. 52'
(in replica lunedi 9 novembre ore 1,15 su Raiuno)
Paolo Mieli presenta Italiani – Pier Paolo Pasolini. Il santo infame (1^tx) di Daniele Ongaro, regia di Graziano Conversano.
Il racconto inedito di Rai Storia, narrato da Libero De Rienzo, per il 40° anniversario dalla morte di Pierpaolo Pasolini: il suo pensiero, il clima repressivo in cui si trovò ad operare, la fragilità della sua vita privata.
Fra gli intervistati: il cugino poeta Nico Naldini, le amiche Adriana Asti e Dacia Maraini, colleghi come Ugo Gregoretti, amici e collaboratori, storici e ricercatori.

Rai Scuola


Domenica 1/11/2015
ore 19.00 - dur. 59’
Scrittori per un anno –l'India di Pasolini e Moravia, 2012, di Isabella Donfrancesco e Alessandra Urbani, regia di Daniela Mazzoli.
Il documentario è introdotto dalle riflessioni di Giorgio Montefoschi e Dacia Maraini, che ricordano il viaggio in India di Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini (1961).
Un viaggio che diede vita a due libri che tradiscono i diversi approcci dei due scrittori: quello più razionale e freddo di Moravia con Un'idea dell'India, e quello più viscerale di Pasolini con  L'odore dell'India.

Sabato 31/10/2015
ore 20.30 -dur. 30’
In Italia presenta: il tesoro della poesia italiana dalle origini al Novecento – Pier Paolo Pasolini, 2011, regia di Giulio Graglia, conduce Guido Davico Bonino.
Guido Davico Bonino introduce le letture di alcune poesie di Pasolini, interpretate da Luciano Virgilio, e commenta in studio con gli esperti.

Rai 5


Lunedì 26/10/2015
ore 21.15 – dur. 60'
Affabulazione I^ TX di Pier Paolo Pasolini, regia di Carlo Tuzii, con Vittorio e Alessandro Gassman, Fanny Ardant, Annie Girardot, Ninetto Davoli, Carlo Monni.
Affabulazione è una tragedia pasoliniana del 1966, composta da otto episodi in versi liberi, un prologo e un epilogo, messa in scena per la prima volta nel 1977 da Vittorio Gassman, protagonista con il figlio Alessandro anche di questa versione televisiva, diretta da Carlo Tuzii negli anni '80. Tra Sofocle e Pasolini, rivive una moderna rivisitazione del mito della gelosia tra padre e figlio. Un uomo di mezza età, esperto del mondo e della realtà della vita, tenta disperatamente di distruggere la virilità del figlio. Il ragazzo è alle prese con un sempre più accecante istinto di morte. La sua impresa fallirà miseramente e il padre, perse tutte le sue certezze, finirà vagabondo e solo a portare una testimonianza affabulatoria delle angosce che affliggono il mondo.

ore 23.00 – dur. 90’
Dramma teatrale Turcs Tal Friul I^ TX regia di Elio De Capitani, musiche di Giovanna Marini, con Lucilla Morlacchi, Giovanni Visentin.
All'interno della chiesa di Santa Croce si trova una lapide votiva che ricorda l'invasione dei Turchi del 1499. A questa lapide votiva è ispirato il dramma teatrale Turcs tal Friûl, un atto unico in friulano scritto da Pasolini durante il corso drammatico della guerra. Questo cammeo drammaturgico è riemerso postumo nel 1976, ma fu composto a Casarsa, a partire dal maggio 1944. Il testo si situa al crocevia di tante e diverse sollecitazioni: i racconti della madre di Pier Paolo; il fatto storicamente documentato della reale ondata aggressiva dei Turchi che lambirono il Friuli nel 1499, sfiorando e risparmiando il paese di Casarsa; la ferocia contemporanea della seconda guerra mondiale, che in quel 1944 trasformò Casarsa in luogo di pericolo e di allarme, con invasioni naziste, azioni partigiane, bombardamenti anglo-americani che miravano al ponte e alla ferrovia sul Tagliamento.  Lo spettacolo è stato registrato all'aperto, in un borgo friulano.

Sabato 31/10/2015
ore 21.15 – dur .90’
Una giovinezza enormemente giovane I^ TX di Gianni Borgna, regia di Antonio Calenda con Roberto Herlitzka.
Il monologo teatrale è ispirato agli scritti e alla vita del poeta di Casarsa e si sgrana come la memoria di un sogno - o di un incubo - oscillando tra l'invettiva giornalistica, propria degli editoriali pasoliniani sul "Corriere della Sera" e "Paese Sera", e la divinazione profetica, sul piano sociale e politico. Pasolini, evocato in morte, è spettatore della propria fine all'Idroscalo di Ostia. Lo spettacolo è stato registrato al Teatro Argentina di Roma nel novembre 2014 per la regia televisiva di Sabrina Salvatorelli.

Domenica 1/11/2015
ore 21.15 – dur. 50’
Uno speciale de Lo Stato dell'Arte I^ TX condotto da Maurizio Ferraris, regia di Andrea Montemaggiori.
Una puntata speciale del nuovo programma di Maurizio Ferraris con ospiti e documenti filmati, dedicato agli aspetti più contraddittori della fortuna letteraria di P. P. Pasolini.

Lunedì 2/11/2015
ore 21.15 – dur. 80' (replica)
Laboratorio Ronconi - Calderon
L'intervista, realizzata nel 1979 da Miklós Jancsó, è dedicata al regista Luca Ronconi e verte sulla sua vita personale ed artistica e la scelta di dedicarsi al teatro e in particolare, in quel momento preciso della sua carriera, di intraprendere la realizzazione del Calderon di Pier Paolo Pasolini nell'ambito del laboratorio teatrale di Prato.

ore 22.35 – dur. 90'
'Na specie de cadavere lunghissimo I^ TX regia di Giuseppe Bertolucci, con Fabrizio Gifuni
Fabrizio Gifuni affronta con grande intensità un lavoro particolarmente ambizioso: trovare il nodo poetico che ha unito Pier Paolo Pasolini ai suoi assassini. Sotto la guida del regista Giuseppe Bertolucci, nasce un progetto teatrale che mette insieme i testi più polemici e politici di Pasolini (fra cui Scritti corsari, Lettere luterane e l'ultima intervista rilasciata a Furio Colombo poche ore prima di morire) a un poema di Giorgio Somalvico (Il pecora). Quest'ultimo descrive in endecasillabi, in un romanesco reinventato, il delirio di un assassino, un giovane borgataro senza valori né cultura antropologicamente intesa. E' uno dei tanti sottoproletari descritti con pena e preoccupazione dal poeta di Casarsa.


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La polizia contro Pasolini, Pasolini contro la polizia - "Quel bastardo è morto"

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"ERETICO & CORSARO"



La polizia contro Pasolini, Pasolini contro la polizia
Reportage di Wu Ming 1, scrittore



Indice:


  1. Quel bastardo è morto
  2. Il giornalismo libero 
  3. Come mai? Non potranno mentire in eterno
  4. Distruggere il Potere Un infame mantra 
  5. Propaganda antinazionale
  6. Le nostre vecchie conoscenze


"Quel bastardo è morto"



Elisei Marcello, di anni 19, muore alle tre di notte, solo come un cane alla catena in una casa abbandonata. Muore dopo un giorno e una notte di urla, suppliche, gemiti, lasciato senza cibo né acqua, legato per i polsi e le caviglie a un tavolaccio in una cella del carcere di Regina Coeli. Ha la broncopolmonite, è in stato di shock, la cella è gelida. I legacci bloccano la circolazione del sangue. Da una cella vicina un altro detenuto, il neofascista Paolo Signorelli, sente il ragazzo gridare a lungo, poi rantolare, invocare acqua, infine il silenzio. La mattina, chiede lumi su cosa sia accaduto. "Quel bastardo è morto", taglia corto un agente di custodia. È il 29 novembre 1959.

Marcello Elisei stava scontando una condanna a quattro anni e sette mesi per aver rubato gomme d’automobile. Aveva dato segni di disagio psichico. Segni chiarissimi: aveva ingoiato chiodi, poi rimossi con una lavanda gastrica; il giorno prima aveva battuto più volte la testa contro un muro, cercando di uccidersi. I medici del carcere lo avevano accusato di "simulare". Le guardie lo avevano trascinato via con la forza e legato al tavolaccio.

Il 15 dicembre si dimette il direttore del carcere Carmelo Scalia, ufficialmente per motivi di salute. A parte questo, per la morte di Elisei non pagherà nessuno. Inchieste e processi scagioneranno tutti gli indagati.

Leggendo della vicenda, Pier Paolo Pasolini rimane sconvolto. "Non so come avrei scritto un articolo su questa orribile morte", dichiara alla rivista Noi donne del 27 dicembre 1959. "Ma certamente è un episodio che inserirò in uno dei racconti che ho in mente, o forse anche nel romanzo Il rio della grana". Un romanzo rimasto incompiuto, poi incluso tra i materiali della raccolta Alì dagli occhi azzurri (1965). Se dovessi scrivere un’inchiesta, aggiunge, "sarei assolutamente spietato con i responsabili: dai secondini al direttore del carcere. E non mancherei di implicare le responsabilità dei governanti".

Oggi è difficile, quasi impossibile cogliere la portata della persecuzione subita ogni giorno da Pasolini in 15 anni

L’agonia e la morte in solitudine di Marcello Elisei scaveranno a lungo dentro Pasolini, fino a ispirare il finale di Mamma Roma (1962). Ma nel 1959 Pasolini non è ancora un regista. Ha 37 anni, è autore di raccolte poetiche, sceneggiature e due romanzi che hanno fatto scalpore: Ragazzi di vita e Una vita violenta. Ha già subìto fermi di polizia, denunce, processi. Per censurare Ragazzi di vita si è mossa direttamente la presidenza del consiglio dei ministri. Eppure, a paragone dello stalking fascista, del mobbing poliziesco-giudiziario e del linciaggio mediatico che l’uomo sta per subire, questa è ancora poca roba.

Nel libro collettaneo Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte (Garzanti, 1977) Stefano Rodotà riassume la questione in una frase: "Pasolini rimane ininterrottamente nelle mani dei giudici dal 1960 al 1975". E anche oltre, va precisato. Post mortem. Rodotà parla di "un solo processo", lunga catena di istruttorie e udienze che trascinò Pasolini decine e decine di volte nelle aule di tribunale, perfino più volte al giorno, tra umiliazioni e vessazioni, mentre fuori la stampa lo insultava, lo irrideva, lo linciava.





Fonte:
http://www.internazionale.it/reportage/2015/10/29/pasolini-polizia-anniversario-morte








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La polizia contro Pasolini, Pasolini contro la polizia - Come mai? - Non potranno mentire in eterno

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La polizia contro Pasolini, Pasolini contro la polizia
Reportage di Wu Ming 1, scrittore


Indice:

  1. Quel bastardo è morto
  2. Il giornalismo libero 
  3. Come mai? Non potranno mentire in eterno
  4. Distruggere il Potere Un infame mantra 
  5. Propaganda antinazionale
  6. Le nostre vecchie conoscenze


Come mai?

Come mai una simile persecuzione? Perché era omosessuale? Tra gli artisti e gli scrittori non era certo l’unico. Perché era omosessuale e comunista? Sì, ma nemmeno questo basta. Perché era omosessuale, comunista e si esprimeva senza alcuna reticenza contro la borghesia, il governo, la Democrazia cristiana, i fascisti, la magistratura e la polizia? Sì, questo basta. Sarebbe bastato ovunque, figurarsi in Italia e in quell’Italia.

Pasolini, ha scritto Alberto Moravia, scandalizzava quella "borghesia italiana che in quattro secoli ha creato i due più importanti movimenti conservatori d’Europa, cioè la controriforma e il fascismo".

La borghesia italiana si è vendicata e, in modi più obliqui, continua a vendicarsi. La fandonia di "Pasolini che stava con la polizia", ripetuta dai fascisti, dai perbenisti e dai falsi anticonformisti di oggi, prosegue la révanche dei fascisti, dei perbenisti e dei falsi anticonformisti di ieri.

Anche l’apologia postuma di un Pasolini semplificato, appiattito, lucidato e ridotto a santino fa parte della révanche.

"Non potranno mentire in eterno"

Nel marzo 1960 Fernando Tambroni, già ministro dell’interno e poi del bilancio, diventa capo di un governo monocolore Dc. L’esecutivo si forma grazie ai voti dei parlamentari missini. Appena quindici anni dopo la liberazione, una forza neofascista si avvicina all’area di governo. Proteste e disordini esplodono in tutto il paese. Il 30 giugno, decine di migliaia di manifestanti si scontrano con la polizia a Genova, città operaia e partigiana scelta dall’Msi per il suo congresso. Il 7 luglio, a Reggio Emilia, polizia e carabinieri sparano su una manifestazione sindacale uccidendo cinque persone. Il 19 luglio, Tambroni si dimette.

La rivista Vie nuove – su cui Pasolini tiene una rubrica dove dialoga con i lettori – produce all’istante un disco sull’eccidio di Reggio Emilia. Si tratta della registrazione della sparatoria. Su Vie nuove numero 33, anno XV, del 20 agosto 1960, Pasolini commenta: "Quello che colpisce […] è la freddezza organizzata e meccanica con cui la polizia ha sparato: i colpi si succedono ai colpi, le raffiche alle raffiche, senza che niente le possa arrestare, come un gioco, quasi con la voluttà distratta di un divertimento".

Sono i giorni del processo al criminale nazista Eichmann, e Pasolini collega le due storie:

Egli uccideva così, con questo distacco freddo e preveduto, con questa dissociazione folle. È da prevedere che le giustificazioni dei poliziotti […] saranno del tutto simili a quelle già ben note… Anch’essi parleranno di ordini, di dovere ecc. […] La polizia italiana… si configura quasi come l’esercito di una potenza straniera, installata nel cuore dell’Italia. Come combattere contro questa potenza e questo suo esercito? […] Noi abbiamo un potente mezzo di lotta: la forza della ragione, con la coerenza e la resistenza fisica e morale che essa dà. È con essa che dobbiamo lottare, senza perdere un colpo, senza desistere mai. I nostri avversari sono, criticamente e razionalmente, tanto deboli quanto sono poliziescamente forti: non potranno mentire in eterno.

Nel 1961 Pasolini gira il suo primo film, Accattone. In un paese dove si legge pochissimo, il cinema è potenzialmente più pericoloso della letteratura.
La riprovazione borghese, la censura e la repressione scatenate dai film di Pasolini (tutti, nessuno escluso) saranno incommensurabilmente maggiori di quelle scatenate dai libri e dagli articoli. Se poi in un film riemerge la storia di come morì Marcello Elisei…

Nel 1962, il finale di Mamma Roma– film che scatena violenze fasciste ed è subito proibito dalla censura – mostra il giovane Ettore che muore in prigione, gemente, febbricitante e invocante la mamma, legato in mutande e canottiera a un letto di contenzione. "Aiuto, aiuto, perché mi avete messo qua?… Non lo faccio più, lo giuro, non lo faccio più… So’ bono, adesso… Mamma, sto a mori’ de freddo… Sto male… Mamma!… Mamma, sto a mori’… È tutta notte che sto qua… Nun je ‘a faccio più…".

Il 31 agosto 1962 il tenente colonnello Giulio Fabi, comandante del gruppo carabinieri di Venezia, denuncia Mamma Roma per oscenità e si premura di aggiungere: "Si fa presente che l’autore e regista Pasolini e uno degli interpreti, il Citti, dovrebbero avere precedenti penali presso il tribunale di Roma". Tra coloro che seguono e apprezzano Pasolini circola l’ipotesi che a irritare l’arma sia stato il finale del film.

Da qui in avanti, Pasolini è investito da un’onda d’urto censoria e repressiva che non ha corrispettivi nella carriera di altri artisti italiani.




Fonte:http://www.internazionale.it/reportage/2015/10/29/pasolini-polizia-anniversario-morte







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La polizia contro Pasolini, Pasolini contro la polizia - Il giornalismo libero

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"ERETICO & CORSARO"



La polizia contro Pasolini, Pasolini contro la polizia
Reportage di Wu Ming 1, scrittore


Indice:

  1. Quel bastardo è morto
  2. Il giornalismo libero 
  3. Come mai? Non potranno mentire in eterno
  4. Distruggere il Potere Un infame mantra 
  5. Propaganda antinazionale
  6. Le nostre vecchie conoscenze



Il giornalismo libero


"Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia".

L’uomo che nel giugno 1968 scrive questo verso ha già sulle spalle quattro fermi di polizia, 16 denunce e undici processi come imputato, oltre a tre aggressioni da parte di neofascisti (tutte archiviate dalla magistratura) e una perquisizione del proprio appartamento da parte della polizia in cerca di armi da fuoco. "Appena avrò un po’ di tempo", scrive in un appunto inedito, "pubblicherò un libro bianco di una dozzina di sentenze pronunciate contro di me: senza commento. Sarà uno dei libri più comici della pubblicistica italiana. Ma ora le cose non sono più comiche. Sono tragiche, perché non riguardano più la persecuzione di un capro espiatorio […]: ora si tratta di una vasta, profonda calcolata opera di repressione, a cui la parte più retriva della Magistratura si è dedicata con zelo…". E ancora: "Ho speso circa quindici milioni in avvocati, per difendermi in processi assurdi e puramente politici".

Oggi è difficile, quasi impossibile cogliere la portata della persecuzione subita ogni giorno da Pasolini in 15 anni. La mostra Una strategia del linciaggio e delle mistificazioni, inaugurata nel 2005 e da poco riallestita alla sala Borsa di Bologna, restituisce appena tenui riverberi. Non può che essere così, per capire bisognerebbe calarsi nell’abisso come ha fatto Franco Grattarola, autore di Pasolini. Una vita violentata (Coniglio, 2005) – e ripercorrere la sfilza dei pestaggi a mezzo stampa. Toccare con le dita un’omofobia da sporcarsi solo a immaginarla. Soppesare l’intero corpus fradicio di articoli, denso come un grande bolo di sterco e vermi.

Tra i quotidiani si fa notare soprattutto Il Tempo, ma è la stampa periodica di destra a tormentare Pasolini in maniera teppistica e ininterrotta. Rotocalchi come Lo Specchio e Il Borghese si dedicano alla missione con entusiasmo, con reporter e corsivisti distaccati a tallonare la vittima, a provocarla, a colpirla in ogni occasione, con titoli come "Il c..o batte a sinistra" e lo stile inconfondibile oggi ereditato da Libero – per citare una sola testata.

Sulle pagine del Borghese si distinguono nel killeraggio il critico musicale Piero Buscaroli e il futuro autore e regista televisivo Pier Francesco Pingitore, fondatore del Bagaglino. Altre invettive giungono dallo scrittore Giovannino Guareschi e, in un’occasione, dal critico cinematografico Gian Luigi Rondi, ma la regina dell’antipasolinismo è senza dubbio Gianna Preda, pseudonimo di Maria Giovanna Pazzagli Predassi (1922-1981), poi cofondatrice – indovinate – del Bagaglino.

Celebrata ancora oggi su un blog di destra come "la signora del giornalismo libero", "fuori dal coro", "mai moralista né oscurantista" e via ritinteggiando, Preda coltiva nei confronti di Pasolini un’autentica ossessione omofobica, sessuofobica e – ça va sans dire– ideologica. Sovente si riferisce allo scrittore/regista chiamandolo "la Pasolina". Per gli omosessuali, descritti come artefici di loschi complotti, conia il termine "pasolinidi". Va avanti per anni – proseguendo anche dopo la morte di PPP – a scrivere cose del genere:

[Pasolini] ha potuto, con immutata disinvoltura, continuare a confondere le questioni del bassoschiena con quelle dell’antifascismo […] Una segreta alleanza […] fa dei ‘capovolti’ il partito più numeroso e saldo d’Italia; un partito che, attraverso i suoi illustri esponenti, finisce sempre col far capo o col rendere servizi al Pci […] Il ‘capovolto’ sente, a naso, quel che gli conviene e dove deve appoggiarsi, se non vuole rendere conto all’opinione pubblica di quello che essa giudica ancora un vizio […] Così nasce un nuovo mito… [A celebrarlo] pensano poi i giornali di sinistra, che riescono a camuffare da eroismo la paura segreta di questo o quel ‘capovolto’ clandestino. Luminose saranno le sorti dei pasolinidi d’Italia. Già si avvertono i segni delle fortune di coloro che hanno scoperto troppo tardi il vantaggio d’esser pasolinidi […] Se avremo, dunque, nuovi scontri con i marxisti […] prima di pensare a coprirci il petto, preoccupiamoci di coprirci le terga…

Il "metodo Boffo" giunge da lontano. E anche i complottismi sulla malvagia "teoria del gender".

L’equivalente di Gianna Preda sullo Specchio è lo scrittore ex repubblichino Giose Rimanelli, celato dietro il nom de plume A. G. Solari. Com’è ovvio, attacchi forsennati a Pasolini giungono anche dal Secolo d’Italia, ma un lavorìo più subdolo e influente di character assassination ha luogo sulla stampa popolare nazionalconservatrice, quella di riviste come Oggi e Gente.

Si va molto più in là, purtroppo. Pasolini sembra essere la cartina di tornasole del peggio. Nel 1968 il regista Sergio Leone, interpellato dal Borghese, sente l’urgenza di commentare così le polemiche sul film Teorema: "Sono convinto che tanti film sull’omosessualità hanno fatto diventare del tutto normale e legittima questa forma di rapporto anormale". Perfino su Il manifesto si trovano battute omofobe: "La tesi [di Pasolini] ridotta all’osso (sacro) è molto chiara…" (21 gennaio 1975). Come ha scritto Tullio De Mauro:

I fiotti neri finiscono con l’inquinare anche acque relativamente lontane. Il linguaggio verbale non è fatto solo di ciò che diciamo e udiamo. È fatto anche di ciò che, nella memoria comune, circonda e alona il detto e l’udito. Il non-detto pesa accanto al detto, ne orienta l’apprezzamento e intendimento. Chi legge nell’Espresso del 18 febbraio 1968 il pezzo Pasolini benedice i nudisti con foto di giovanotto ciociaro nudo a cavallo di violoncello, è coinvolto dagli effetti del fiotto nero d’origine fascista, gli piaccia o no e lo volessero o no i redattori del settimanale radical-socialista.

È una vasta campagna a favorire, o meglio, istigare non solo le azioni poliziesche e giudiziarie, ma anche le aggressioni fisiche da parte di fascisti. Fascisti mai toccati dalla magistratura, che poi finiranno in diverse inchieste sulla strategia della tensione, come Serafino Di Luia, Flavio Campo e Paolo Pecoriello.

Il 13 febbraio 1964, davanti alla Casa dello studente di Roma, una Fiat 600 cerca di investire un gruppo di amici di Pasolini che difendevano quest’ultimo da un agguato fascista. A guidare l’auto è Adriano Romualdi, discepolo di Julius Evola e figlio di Pino, deputato e presidente del Movimento sociale italiano (Msi). L’episodio è riportato con dettagli e fonti in tutte le biografie di Pasolini, mentre è assente dalla voce che Wikipedia dedica a Romualdi.

Pasolini non querela, né per le diffamazioni a mezzo stampa né per le aggressioni fisiche. È una scelta meditata: non vuole abbassarsi al livello dei suoi persecutori. Inoltre, se querelasse non farebbe che aumentare la già enorme quantità di tempo che trascorre in tribunale.




Fonte:http://www.internazionale.it/reportage/2015/10/29/pasolini-polizia-anniversario-morte







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La polizia contro Pasolini, Pasolini contro la polizia - Distruggere il Potere - Un infame mantra

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La polizia contro Pasolini, Pasolini contro la polizia
Reportage di Wu Ming 1, scrittore

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  1. Quel bastardo è morto
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Distruggere il Potere

Ecco il senso dell’avverbio "ovviamente", usato da Pasolini per rafforzare una premessa che ritiene importante. È del tutto ovvio che PPP sia contro l’istituzione della polizia.

Ancora più ovvio il verso che segue: "Ma provate a prendervela con la magistratura, e vedrete!". Quella magistratura che tanto ha perseguitato, continua e continuerà a perseguitare Pasolini, anche dopo la morte.

È a partire da questa posizione che l’autore della poesia Il Pci ai giovani affida a un mucchio di "brutti versi"– definizione sua – una riflessione confusa, che deraglia subito e diventa uno sfogo, un’invettiva antiborghese. Come scriverà poco dopo: "Sono troppo traumatizzato dalla borghesia, e il mio odio verso di lei è ormai patologico".

Ma per quanto l’invettiva possa essere brutta sul piano formale e carente di focus nei contenuti, dopo averla letta tutta (tutta intera, non solo i 4-5 versi estrapolati e branditi come randelli da questo o quello scagnozzo) è difficile concludere che "Pasolini stava con la polizia".

Pasolini descrive i poliziotti che si sono scontrati con gli studenti a Valle Giulia come "umiliati dalla perdita della qualità di uomini / per quella di poliziotti". L’istituzione della polizia disumanizza. Per questo gli studenti – "quei mille o duemila giovani miei fratelli / che operano a Trento o a Torino, / a Pavia o a Pisa, / a Firenze e un po’ anche a Roma"– sono comunque "dalla parte della ragione" e la polizia "dalla parte del torto". Se non si capisce questo, non si coglie l’intento paradossale di Pasolini. Il paradosso gli serve a precisare che la vera rivoluzione non la faranno mai gli studenti, perché sono figli di borghesi. Al massimo potranno fare una "guerra civile", in questo caso generazionale, in seno alla borghesia. La rivoluzione, dice Pasolini, possono farla solo gli operai, ai quali la grande stampa borghese non leccherà mai il culo, come invece – nell’iperbole pasoliniana – sta facendo con gli studenti. Sono gli operai il vero pericolo per il potere capitalistico, dunque saranno loro a subire la repressione poliziesca più pesante: "La polizia si limiterà a prendere un po’ di botte dentro una fabbrica occupata?", si chiede retoricamente l’autore. Quindi, è proprio là che dovranno trovarsi gli studenti, se vogliono essere rivoluzionari: tra gli operai. "I Maestri si fanno occupando le Fabbriche / non le università". Ma soprattutto, gli studenti devono riprendere in mano "l’unico strumento davvero pericoloso / per combattere contro i [loro] padri: / ossia il comunismo". Pasolini li invita a impadronirsi del Pci, partito che ha "l’obiettivo teorico" di "distruggere il Potere" (quell’estinzione dello stato che Marx pone a obiettivo finale della lotta di classe e del socialismo) ma è finito in indegne mani, le mani di "signori in modesto doppiopetto", "borghesi coetanei dei vostri stupidi padri". Occupare le federazioni del Pci, dice Pasolini, aiuterebbe il partito a "distruggere, intanto, ciò che di borghese ha in sé".

Questa esortazione occupa tutta la seconda metà del testo, ma – guarda caso – non viene mai citata.

Lo so, ti gira la testa. Ti avevano detto che Il Pci ai giovani parlava bene della repressione poliziesca. Hai sentito versi di questa poesia citati da pubblici ministeri mentre chiedevano pene pesantissime per i No Tav. Li hai uditi dalle labbra di Belpietro. Li hai letti nei comunicati del Sap e del Coisp

Un infame mantra

Il Pci ai giovani fu attaccata subito, e non solo dagli studenti che criticava. Franco Fortini riempì Pasolini di insulti. Sotto il cumulo di quegli insulti, le critiche erano giuste. Pasolini provò a spiegarsi, cercando di non rimangiarsi il paradosso. Quei versi erano "brutti" perché non erano bastati "da soli a esprimere ciò che l’autore [voleva] esprimere". Erano versi "’sdoppiati’, cioè ironici, autoironici. Tutto è detto tra virgolette". Parlò di "boutade", di "captatio malevolantiae", ma non arretrò mai dal punto che aveva scelto e deciso di difendere: l’invito agli studenti a "operare l’ultima scelta ancora possibile […] in favore di ciò che non è borghese".

Ma ormai la frittata era fatta e sarebbe rimasta a fumigare in padella per i cinquant’anni e passa a venire, per la gioia di "postfascisti", ciellini, sindacati gialli, teste da talk-show, scrittori tuttologi esternazionisti, commentatori pavloviani.

Ogni volta che si manifesta il conflitto sociale e la polizia interviene a reprimerlo riparte, come lo ha chiamato un cattivo maestro, "l’infame mantra" su Pasolini che stava con la polizia e i manganelli. Con quel mantra si è giustificato ogni ricorso alla violenza da parte delle forze dell’ordine. Bastonate, candelotti sparati in faccia, gas tossici, l’uccisione di Carlo Giuliani, l’irruzione alla scuola Diaz di Genova, la solidarietà di corpo agli assassini di Federico Aldrovandi eccetera. Periodicamente, frasi decontestualizzate sui manifestanti "figli di papà" e i poliziotti proletari sono usate contro precari, sfrattati o popolazioni che si oppongono alla devastazione del proprio territorio.

Ho però il sospetto che il mantra si sia imposto solo a partire dagli anni novanta, insieme a certe "appropriazioni" del pensiero di Pasolini. Sicuramente, nel periodo 1968-75 nessun detentore del potere, nessun membro del blocco d’ordine lesse quei versi come davvero apologetici della repressione. Basti vedere come proseguirono i rapporti tra Pasolini, la polizia e la magistratura, e come si evolsero quelli tra Pasolini, il movimento studentesco e le sinistre extraparlamentari.


Fonte:http://www.internazionale.it/reportage/2015/10/29/pasolini-polizia-anniversario-morte







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La polizia contro Pasolini, Pasolini contro la polizia - Propaganda antinazionale

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"ERETICO & CORSARO"



La polizia contro Pasolini, Pasolini contro la polizia
Reportage di Wu Ming 1, scrittore

Indice:


  1. Quel bastardo è morto
  2. Il giornalismo libero 
  3. Come mai? Non potranno mentire in eterno
  4. Distruggere il Potere Un infame mantra 
  5. Propaganda antinazionale
  6. Le nostre vecchie conoscenze

Propaganda antinazionale


Nell’agosto 1968, due mesi dopo la polemica su Il Pci ai giovani, Pasolini partecipa alla contestazione contro la Mostra d’arte cinematografica di Venezia, occupa il palazzo del cinema al Lido, subisce lo sgombero poliziesco e si prende l’ennesima denuncia. Sarà processato insieme ad altri registi, con l’accusa di aver "turbato l’altrui pacifico possesso di cose immobili". Verrà assolto nell’ottobre 1969.

Sulla rivista Tempo numero 39, anno XXX, del 21 settembre 1968, la rubrica Il Caos tenuta da Pasolini contiene una "Lettera al Presidente del Consiglio", che in quei giorni è Giovanni Leone, non ancora "quirinato" né impeached. Lo scrittore accusa il capo del governo per la repressione a Venezia. Quanti credono che Pasolini fosse contro il ‘68 e i contestatori trasecolerebbero leggendo questo passaggio (corsivo mio):

Nel ’44-’45 e nel ’68, sia pure parzialmente, il popolo italiano ha saputo cosa vuol dire – magari solo a livello pragmatico – cosa siano autogestione e decentramento, e ha vissuto, con violenza, una pretesa, sia pure indefinita, di democrazia reale. La Resistenza e il Movimento Studentesco sono le due uniche esperienze democratiche-rivoluzionarie del popolo italiano. Intorno c’è silenzio e deserto: il qualunquismo, la degenerazione statalistica, le orrende tradizioni sabaude, borboniche, papaline.

Leone risponde arzigogolando, Pasolini continua a mirare diritto e sul numero 41 del 5 ottobre 1968 ribadisce: "Io ero presente, quella notte. E ho visto coi miei occhi le violenze della polizia".

Per chiedere – e il più delle volte ottenere – il sequestro delle opere di Pasolini agiscono in prima persona membri delle forze dell’ordine

Due mesi dopo, sul numero 52 del 21 dicembre 1968, Pasolini commenta l’ennesimo eccidio per mano poliziesca – due braccianti crivellati di colpi ad Avola, in Sicilia – e sostiene la proposta, fatta da un Pci ancora lontano dall’appoggio alle leggi speciali, di disarmare la polizia:

Disarmare la polizia significa infatti creare le condizioni oggettive per un immediato cambiamento della psicologia del poliziotto. Un poliziotto disarmato è un altro poliziotto. Crollerebbe di colpo, in lui, il fondamento della ‘falsa idea di sé’ che il Potere gli ha dato, addestrandolo come un automa.

In una puntata della rubrica rimasta inedita e ritrovata da Gian Carlo Ferretti, Pasolini risponde a una lettrice di destra, tale Romana Grandi, che gli ha inviato un volantino dell’Msi-Dn pieno di ingiurie nei confronti suoi e di altri intellettuali: "Un piccolo sforzo potrebbe pur farlo, visto che scrive e riscrive di essere una lavoratrice: non si è accorta che coloro che sono colpiti dalla polizia sono i lavoratori (e gli studenti che lottano accanto ai lavoratori)?".

L’autunno del ’69 – il cosiddetto autunno caldo – è una stagione di grandi lotte e vittorie operaie. Il 12 dicembre, per tutta risposta, esplode la bomba in piazza Fontana. A ruota, parte la montatura per colpire gli anarchici, le sinistre e il movimento operaio. Il 15 dicembre muore Giuseppe Pinelli. Il 16 dicembre, l’inviato del Tg1 Bruno Vespa comunica a milioni di persone che "Pietro Valpreda è il colpevole, uno dei responsabili della strage di Milano". L’anarchico Valpreda diventa il mostro.

Pasolini, Moravia, Maraini, Asor Rosa e altri intellettuali firmano un appello "contro l’ondata repressiva". Sul Borghese del 28 dicembre 1969, Alberto Giovannini coglie la palla al balzo e scrive:

Tra gli arrestati, oltre al Valpreda, uso a voltare la schiena non solo all’odiata borghesia ma anche agli amati giovinetti, vi sono molti ‘travestiti’ e ‘checche’; e il fatto non può lasciare indifferente P. P. Pasolini, che dei capovolti di tutta Italia è, di certo, il padre spirituale, visto che la natura ingrata […] non gli ha consentito di esserne la madre.

Sul numero 2, anno XXXII, di Tempo, del 10 gennaio 1970, Pasolini si rivolge al deputato socialdemocratico Mauro Ferri e scrive:

L’estremismo dei gruppi minoritari ed extraparlamentari di sinistra non ha portato in nessun modo (è infame solo pensarlo) alla strage di Piazza Fontana: esso ha portato alla grande vittoria dei metalmeccanici. Prima che Potere Operaio e gli altri gruppi minoritari extra-partitici agissero, i sindacati dormivano.

Dal 1 marzo 1971, per due mesi, Pasolini si presta a fare il direttore responsabile del giornale Lotta Continua, accettando il rischio di essere inquisito, rinviato a giudizio e processato per i contenuti del giornale. Cosa che succede il 18 ottobre dello stesso anno, per avere "istigato militari a disobbedire le leggi […], svolto propaganda antinazionale e per il sovvertimento degli ordinamenti economici e sociali costituiti dallo Stato [e] pubblicamente istigato a commettere delitti". Pena massima prevista dal codice: 15 anni di reclusione. Testimoni per l’accusa: ufficiali, sottufficiali e agenti della pubblica sicurezza e dei carabinieri.

Dopo questo rinvio a giudizio, in spregio a qualsivoglia presunzione d’innocenza, la Rai blocca la messa in onda del programma di Enzo Biagi Terza B: facciamo l’appello. Oggi è una delle più famose apparizioni televisive di Pasolini, ma molti non sanno che fu censurata e andò in onda solo dopo la sua morte, cinque anni dopo essere stata registrata.

Nel frattempo, per chiedere – e il più delle volte ottenere – il sequestro delle opere di Pasolini agiscono in prima persona membri delle forze dell’ordine. A Bari, l’ispettrice di polizia Santoro segnala l’oscenità "orripilante" del film Decameron. Ad Ancona, contro la medesima pellicola sporge denuncia l’ispettore forestale Lorenzo Mannozzi Torini, secondo Wikipedia un "pioniere della tartuficoltura".

Certamente provato ma per nulla intimidito, Pasolini finanzia e gira insieme al collettivo cinematografico di Lotta continua (Lc) un documentario-inchiesta su piazza Fontana e sullo stato delle lotte in Italia. Sceneggiato da Giovanni Bonfanti e Goffredo Fofi, il documentario esce nel 1972 con il titolo 12 dicembre e la dicitura "Da un’idea di Pier Paolo Pasolini".

Ancora nel novembre 1973, quando il rapporto con Lc è teso e sull’orlo della rottura, Pasolini dichiara: "I ragazzi di Lotta continua sono degli estremisti, d’accordo, magari fanatici e protervamente rozzi dal punto di vista culturale, ma tirano la corda e mi pare che, proprio per questo, meritino di essere appoggiati. Bisogna volere il troppo per ottenere il poco".



Fonte:
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La polizia contro Pasolini, Pasolini contro la polizia - Le nostre vecchie conoscenze

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La polizia contro Pasolini, Pasolini contro la polizia
Reportage di Wu Ming 1, scrittore

Indice:


  1. Quel bastardo è morto
  2. Il giornalismo libero 
  3. Come mai? Non potranno mentire in eterno
  4. Distruggere il Potere Un infame mantra 
  5. Propaganda antinazionale
  6. Le nostre vecchie conoscenze


"Le nostre vecchie conoscenze"


L’ultima stagione, quella "corsara" e "luterana", è segnata dalla reiterata, implacabile richiesta di un grande processo alla Democrazia cristiana, ai suoi dirigenti e notabili, ai complici delle sue politiche.

Dopo Il Pci ai giovani, sono alcune formule-shock del Pasolini 1974-’75 a detenere il primato delle decontestualizzazioni e delle letture strumentali.

Per esempio, si estrapolano paradossi come "il fascismo degli antifascisti" per difendere le adunate di estrema destra, guardandosi bene dal dire che Pasolini usava l’espressione per attaccare l’ipocrisia del cosiddetto arco costituzionale, l’insieme dei partiti al potere, quelli che – dice in un’intervista del giugno 1975 – "continueranno a organizzare altri assassinii e altre stragi, e dunque a inventare i sicari fascisti; creando così una tensione antifascista per rifarsi una verginità antifascista, e per rubare ai ladri i loro voti; ma, nel tempo stesso, mantenendo l’impunità delle bande fasciste che essi, se volessero, liquiderebbero in un giorno".

Senza il contesto cosa rimane? Una manciata di immagini – le lucciole, la fine del mondo contadino, i corpi omologati dei capelloni – ridotte a cliché e rese innocue. Rimane il "mito tecnicizzato" di uno pseudoPasolini light e lactose-free, propinato dalla stessa cultura dominante che perseguitò Pasolini, dagli eredi giornalistici dei suoi diffamatori e dagli eredi politici di chi lo aggrediva per strada.

L’8 ottobre 1975, sul Corriere della Sera, Pasolini commenta la messa in onda di Accattone da parte della Rai. Nel suo film d’esordio, scrive, metteva in scena due fenomeni di continuità tra regime fascista e regime democristiano: "Primo, la segregazione del sottoproletariato in una marginalità dove tutto era diverso; secondo, la spietata, criminaloide, insindacabile violenza della polizia".

Nella polizia fascista di Madrid e Barcellona, scrive Pasolini, rivediamo la nostra polizia

Riguardo al primo fenomeno, scrive Pasolini, la società dei consumi ha "integrato" e omologato anche i sottoproletari, le loro abitudini, i loro corpi. Ergo, il mondo rappresentato in Accattoneè finito per sempre.

È trascorso poco tempo, ma quelle parti di Roma sono cambiate. Pasolini le attraversa e dietro ogni incrocio, dietro ogni edificio, dietro ogni capannello di giovani vede – in una sovrapposizione lievemente sfasata – com’erano l’incrocio, l’edificio e quei giovani solo poco tempo prima. Tutto è in apparenza simile, ma la tonalità emotiva è alterata, la nota di fondo è irriconoscibile. Per un potente resoconto psicogeografico su tale "doppiezza" rimando alla passeggiata del Merda in Petrolio, Appunti 71-74a.

Ma cosa dice Pasolini del secondo fenomeno di continuità tra regime fascista e regime democristiano? "Su questo punto c’intendiamo subito tutti", scrive, e sa di essere provocatorio. Sta parlando ai lettori del Corsera, è implausibile che tutti siano d’accordo nel ritenere "spietata" e "criminaloide" la violenza della polizia.

Ma l’autore è adamantino: "È inutile spendere parole. Parte della polizia è ancora così". Segue un riferimento alla polizia spagnola, la guardia civil del regime franchista. Riferimento oggi incomprensibile, se non si sa cosa accadeva in Spagna in quei giorni. Ecco un titolo da l’Unità del 5 ottobre 1975: "Tortura a Madrid. / È stata usata dalla polizia franchista in modo sistematico contro non meno di 250 baschi. – Le conclusioni di un’inchiesta di Amnesty International – Testimonianze agghiaccianti".

Il passaggio è rapido, ma non superficiale. Ci mostra un altro "doppio mondo" sfasato. Nella polizia fascista di Madrid e Barcellona, scrive Pasolini, rivediamo la nostra polizia, "le nostre vecchie conoscenze in tutto il loro squallido splendore".

L’uomo che sorride

Tre settimane dopo, la notte tra il 1 e il 2 novembre, il corpo di Pasolini giace nel fango di Ostia, massacrato, ridotto a un unico cencio intriso di sangue.

Ora, per chiudere, prendo in prestito le parole di Roberto Chiesi:

Se guardate tra le terribili foto del ritrovamento del cadavere di Pasolini, ce n’è una, forse la più terribile, che mostra il corpo rovesciato e martoriato, con intorno alcuni inquirenti e poliziotti seduti sulle ginocchia. In particolare c’è un poliziotto seduto accanto al cadavere di Pasolini, che sorride. La foto lo mostra in maniera inequivocabile: è un sorriso di scherno, di disprezzo. Questa immagine può essere presa a campione di tutta un’Italia deteriore, da rifiutare, condensata in quell’immagine in bianco e nero, apparsa sulle prime pagine di tanti giornali dell’epoca.

Pasolini continuava a essere contro la polizia, la polizia continuava a essere contro Pasolini.


Fonte:http://www.internazionale.it/reportage/2015/10/29/pasolini-polizia-anniversario-morte







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Intervista a Pier Paolo Pasolini - Il futuro è già finito

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"ERETICO & CORSARO"




Intervista. Il futuro è già finito
Intervista di Massimo Conti


 

La storia, allora ‘va avanti a forza di esagerazioni’?


Certo. Di esagerazioni, di scandali, di tensioni.



Lei dunque diceva che ci sono molti punti di contatto fra nazifascismo e gauchismo. Vuol spiegarci meglio questo concetto?


Lo spiego esistenzialmente: oggi il fascista non ha bisogno di mentire fino in fondo, per ritrovarsi con i gauchisti. Basta che menta su alcuni punto. Per tutto il resto (l’atteggiamento, i miti che ha in testa, il linguaggio) l’identificazione non è difficile. Fascismo e gauchismo sono fondati sugli stessi principi filosofici (non, badi bene, ideologici e politici!). Si tratta di principi filosofici di carattere irrazionale-pragmatico.



Che vuol dire?


Che postulano obiettivi rigorosi, totali, assoluti, e, nel tempo stesso, danno il primato all’azione nei confronti del pensiero. La contropartita dell’irrazionalità è il mito dell’organizzazione. I nostri giovani mistici della politica sono anche formidabili organizzatori. Basta pensare alle loro manifestazioni di piazza, negli anni scorsi. Non si era mai visto nulla di simile, in passato. Il dato rivelatore dell’irrazionalismo sostanziale dei giovani è il verbalismo.



E quali sono le caratteristiche del verbalismo?


Le caratteristiche del verbalismo dei giovani sono un’assoluta scorrevolezza d’eloquio, una assoluta capacità di appianare qualsiasi difficoltà di pensiero. Qualsiasi concetto, anche il più complicato, si trasforma immediatamente, nei loro interventi, orali o scritti, in parole che lo semplificano, l’agevolano, lo rendono parlabile. Il lessico è tutto preso dalla sociologia.



L’altra caratteristica del verbalismo è la stereotipia. Tutti i giovani usano le stesse frasi, come se dicessero a memoria un testo.


Capelli lunghi e verbalismo. C’è un rapporto diretto tra i due fenomeni?


I capelli lunghi sono un linguaggio inarticolato e ontologico, attraverso cui i giovani si esprimono nel modo più irrazionale possibile: cioè attraverso il silenzio. Il verbalismo non è che l’altra faccia del silenzio. Esso infatti scarica sulle parole il valore che dovrebbero avere le idee o i fatti o la ragione: in tal senso è l’equivalente del silenzio dei capelli. Nominalismo e dogmatismo si danno la mano.



Lei, Pasolini, insiste molto sull’irrazionalismo dei giovani. Ma che c’è dietro?


Uno stato di incertezza esistenziale, profondamente radicato, che sfiora un tragico senso di impotenza. Nel momento che i giovani depongono il loro invadente, violento e, in fondo, repressivo linguaggio, e li si coglie di sorpresa, appaiono estremamente smarriti. Non ho mai visto giovani così bisognosi del padre come i giovani di questa generazione. Quando non si sorvegliano, il loro sguardo si volge intorno mendicando aiuto.



L’incertezza è il dato dei nevrotici. Allora i giovani…


È quello che stavo per dire. Fino a dieci anni fa la nevrosi era riscontrata in individui, giovani o anziani, nell’enorme maggioranza appartenente alla borghesia. Adesso, invece, praticamente la nevrosi è dipinta nel viso di tutti. Non c’è viso di giovane che non ne mostri i segni deprimenti.



E non soltanto i giovani borghesi. No. Questi pallori e queste precoci rughe che sono segni di complessi, di impotenza, di snobismi inespressi, di angosce arrivistiche senza meta, di sentimento categorico del dovere, si vedono anche nei proletari e nei sottoproletari. In uno studente, col padre avvocato o banchiera, questa nevrotica ribellione contro i padri (manifestata anche attraverso i capelli lunghi) aveva, almeno alle origini, ripeto, una forma di razionalità e di pensiero. Ma vada al Quarticciolo e si spieghi perché i ragazzi prendano quegli atteggiamenti, portino i capelli lunghi, si mascherino anch’essi e si travestano. Non è possibile che quei ragazzi siano in polemica con i loro padri, che fanno i muratori, i manovali, gli spazzini. Evidentemente la molla del fenomeno qui è l’imitazione. Una forma infima di bovarismo, che sta dilagando nelle periferie e nel mondo operaio.


Del resto, l’umanità tende a diventare omogenea. Viene livellata dal nostro modo di vita, dal progresso…


Ecco, arriviamo al punto. Il Quarticciolo, come tutto il mondo periferico, aveva in passato una propria cultura. La gente aveva dei propri principi, un suo modo di percepire il bene e il male, una sua moralità. Esprimevano quindi un loro modello umano. Quando un ragazzo di periferia andava al centro di Roma, era socialmente un modello che si opponeva al modello espresso dal centro borghese della città. Era orgoglioso di essere tale, adottava il proprio atteggiamento ‘malandrino’, da dritto, da bullo di borgata, e con questo si sentiva molto forte, si considerava innocentemente autorizzato a giudicare gli studenti degli ‘stronzi’.



I ‘ragazzi di vita’ di cui ho parlato nei miei romanzi erano chiaramente un prodotto della cultura sottoproletaria romana. Ora invece fra centro e periferia, per via del progresso (auto, motoretta e televisione, che hanno ridotto o annullato le distanze) è caduta ogni barriera. E queste culture periferiche sono scomparse.


Ed è una perdita grave?


Eh sì, perché ogni cultura originaria, e particolare, è autentica. Insieme a tale cultura, i ‘ragazzi di vita’ hanno perduto tutto; la loro sicurezza, il loro linguaggio. I ragazzi di Roma non hanno più un gergo; non hanno più le loro belle invenzioni linguistiche; non sono più spiritosi. Dicono sempre delle cose ovvie, banali; parlano in modo disadorno, spoglio, grigio.



I giovani, dunque, sono irrazionali, perché incerti, incerti perché nevrotici, nevrotici perché dissociati, culturalmente repressi. Abbiamo forse toccato il fondo del problema?


Il fondo della questione è, appunto, la distruzione sistematica di tutte le culture diverse dalla cultura borghese. Se chiudo gli occhi, e penso alla storia della borghesia, vedo che tale storia si configura in un disegno coerente. Come in una tragedia greca. C’è un Nous, una Mente che crea, trasforma e distrugge le forme di vita a seconda dei propri bisogni.



Una Mente borghese, dunque. Ma che significa per lei borghese?


Non vorrei apparire qui in veste di filosofo. Sono uno scrittore che ha delle fantasie, che inventa schemi di favole. Quando parlo di Mente borghese, mi riferisco a un tipo di civiltà materialistica che oramai sta dando la sua impronta a tutto il mondo. Il mio discorso, poco ortodossamente classista, riguarda l’intera umanità.



Anche l’umanità del mondo comunista?


Anche. Io sono uno di quelli che accusano la Russia di essere uno Stato piccolo borghese.



E la Cina?


Anche la Cina. Benché essa sia l’unico Paese che per un momento, durante la rivoluzione culturale, ha preso coscienza di quel disegno della Mente volto, nel caso della Cina, a trasformare i contadini in piccolo borghesi. Ma la rivoluzione culturale è finita.



Dicevo, dunque, che la Mente compie una serie di operazioni su scala mondiale che tendono ad assorbire tutte le culture ‘altre’, che sono poi le culture popolari, nel grande flusso della cultura borghese. Ciò serve a farle rientrare economicamente nel giro della produzione e del consumo. Luckàs dice che la borghesia deve rinnovarsi continuamente e condurre una continua critica su se stessa. La Mente borghese, quindi, è sempre ala ricerca di opposizioni e di ricambi. Anzi, se li crea continuamente.


Un esempio?


Hitler. La borghesia ha creato questo tipo di eroe sterminatore perché, a un certo punto aveva bisogno di espiare le colpe di destra attraverso una rivolta di estrema destra. Espiazione da cui, poi, infatti, è nata una borghesia più moderna, antifascista. E che, naturalmente, ha portato avanti i valori borghesi. Il nazismo è stato insomma una rabbia borghese rivolta contro la borghesia.



Di questi esempi di rinnovamento anche violento dei valori dentro l’entropia – rinnovamento voluto dalla Mente borghese – se ne danno molti. A un certo punto della nostra storia poi è cominciata l’applicazione della scienza su vasta scala. Sono cambiati, per conseguenza, i mezzi di produzione. È nato un rapporto diverso tra produzione e consumo. Si sono sviluppate le tecniche dell’informazione. Si tratta stavolta non di un rinnovamento, ma di una vera e propria rivoluzione economica che sta scuotendo il mondo alle radici. Allora la Mente borghese della nostra favola ha dovuto creare all’interno del sistema non più una rivolta, ma un processo rivoluzionario.


Che specie di rivoluzione?


La contestazione giovanile, con tutti i suoi simboli. Che cosa voleva, in fondo, la borghesia? Voleva spazzare via tutto ciò che ostacolava i nuovi rapporti di produzione-consumo, cioè le impalcature e gli istituti della tradizione: la cultura, l’arte, il mondo artigianale, il mondo agricolo dei piccoli possidenti, la Chiesa stessa. Tutte cose di cui non aveva più bisogno. Ora la borghesia estetizzante, tradizionalistica e religiosa, non poteva compiere quest’opera da sola. Ha creato così una generazione di giovani contestatori. E i giovani hanno fatto quello che la mente comandava.




Ma la contestazione ha minacciato, a un certo punto, l’esistenza stessa degli stati borghesi: in Francia, in Germania, in Italia…
Sì, ci sono state effettivamente delle violenze, nella contestazione, che erano davvero pericolose per la borghesia. Ma la Mente è troppo intelligente. Sa che, a un certo punto, bisogna anche rischiare.



Quando lei scrisse una poesia contro i ragazzi dell’ultra sinistra che bastonavano i poliziotti sulle piazze di Italia, l’accusarono di essere contro i giovani. L’accusa si è ripetuta quando, di recente, ha scritto un articolo sulla degenerazione del linguaggio dei capelli. Anche tutto ciò che lei ci ha detto in quest’intervista ha un gusto polemico. Possiamo concludere che lei non crede ai giovani.


Non credo neanche ai vecchi. Il mio giudizio è negativo su tutta l’umanità, giovani e vecchi. Sentimentalmente bisogna avere comprensione, e sia pure fraterna pietà, per i giovani. Questa loro fondamentale sofferenza e incertezza nevrotica li rende vittime; attraverso la tragedia, li nobilita, e l’ansia ridà loro quell’innocenza che hanno perduto con l’allegria.



Da che cosa deriva questo abissale pessimismo?


Non amo il nuovo tipo di civiltà borghese, in cui mi tocca vivere, non amo l’applicazione della scienza, questo serrato, inesorabile, ciclo di produzione e consumo, non amo l’uomo trasformato in consumatore. Come non amo la scomparsa della cultura, dell’arte, dell’artigianato, del contadino, della religione… Quando i contadini erano soli nei campi e alzavano la frasca di ulivo per scongiurare il temporale, rappresentavano una forma autentica, reale, della vita umana. Era cultura, anche se sotto forma di un’oscura, rustica, religiosità.



Si dice che la ribellione giovanile abbia anche una componente religiosa, mistica, addirittura. Lei è d’accordo su questo giudizio?


Nei secoli passati gli asceti rifiutavano il mondo come regno del Diavolo. Ai nostri tempi gli ascetici capelloni che vagano nelle Americhe rifiutano il mondo come dominio della Produzione e del consumo. Anche il loro è un rifiuto mistico.



E anche la ricerca religiosa dei capelloni, degli ‘hippie’ degli ‘yippie’ e degli ‘zippie’ americani rientrava nel disegno della Mente?


Forse quella no. Perché se quella ricerca religiosa fosse arrivata alle estreme conseguenze, sarebbe stata la fine della civiltà borghese. Essa è perciò deviata immediatamente. Così i principi più rigorosi, culturali in senso profondo, ascetici, del movimento giovanile sono diventati moda, droga, India, sottocultura. La ricerca mistico-religiosa è parsa subito pericolosa alla Mente. Più ancora dei disordini nei campus americani.



Perché più pericolosa?


Perché essa sì sarebbe stata una rivolta totale. Avrebbe colpito alle radici la civiltà razionalistica e materialistica che comprende, come ho spiegato, anche il mondo comunista.



Di lei hanno anche detto che ha tendenze mistico religiose. È vero?


Una ricerca mistico-religiosa non l’ho mai vissuta. Ho fatto, al contrario, una ricerca razionale. Appunto perché tendevo a forme religiose, cominciai a considerarle un pericolo. Tutto ciò che si ha in eccesso costituisce sempre un pericolo.



Arriviamo alle conclusioni. I giovani non hanno contribuito a lenire il suo pessimismo di fondo sul conto dell’umanità. Non c’è proprio possibilità di salvezza?


Ci sarà, ma non mi interessa. Perché dal momento in cui uno dice che c’è possibilità di salvezza, mette a tacere la propria coscienza.



Intervista di Massimo Conti, «Panorama», 8 marzo 1973.




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Pasolini il maestro Eretico e Corsaro - Il Film.

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A scuola con Pasolini

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Contributo dei visitatori.
 Flavia Fronesio Margot, segnala: 
A scuola con Pasolini

 
 
 
I professori e gli studenti del liceo Niccolini Palli presentano un ampio programma di iniziative con cui la scuola vuole coinvolgere la città di Livorno nella scoperta dell'opera dell'artista
 
  Una rassegna di film aperta alla città, seminari, una mostra e un convegno: nel quarantesimo anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini gli studenti e gli insegnanti di lettere del Niccolini-Palli, in collaborazione col Comune di Livorno, hanno deciso di dedicare un anno di lavoro e passione a questo grande intellettuale del Novecento. Il progetto, intitolato "A scuola con Pasolini", è stato presentato nell’Aula Magna del Liceo ISIS alla presenza dell’assessore alle culture del Comune di Livorno, Serafino Fasulo.

"A scuola con Pasolini" riguarda un ampio programma di iniziative con cui i professori e gli studenti vogliono coinvolgere la città di Livorno nella loro scoperta dell'opera di Pasolini, un artista ancora oggi considerato scomodo da alcuni, ma che proprio per questo ai più giovani appare come una figura capace di offrire uno sguardo originale e stimolante sulla contemporaneità. La sua coerenza intellettuale, la sua razionalità appassionata, il suo modo totale di sentirsi artista, non possono non attrarre l'interesse degli studenti e aiutarli a comprendere che un modo alto, profondamente umanistico, di fare cultura, come quello di Pasolini, può essere prezioso per comprendere la realtà.

Il progetto è portato avanti dai professori Bonanno, Cantini, Chiti, Del Chiaro, Mazzei, Pedroni, Porta, Sandroni, Scigliuzzo del liceo Palli e Vuat per il liceo classico. La scelta di dedicare un anno a Pasolini è nata da esigenze diverse: quella di valorizzare un autore che di solito ha poco spazio nei tempi della programmazione didattica, ma che merita un costante e profondo ripensamento, tanto più necessario col passare dei decenni; quella di portare un gruppo consistente di insegnanti a lavorare a un progetto comune e quella di far sentire gli studenti coinvolti non solo nella scuola ma anche nella comunità cittadina, dove hanno modo di porsi come soggetti culturali attivi, desiderosi di offrire alla città la loro creatività e intelligenza.

Il progetto su Pasolini è stato motivato anche dalla sua personalità eclettica, di "umanista moderno". Pasolini si è espresso col cinema e, per quanto riguarda la parola, attraverso generi e linguaggi diversi, la poesia, la narrazione, il saggio. Per una scuola che unisce vari indirizzi umanistici, dal musicale alle scienze umane al classico, la sua opera rappresenta un'opportunità di valorizzazione di forme molteplici di talento e di elaborazione culturale. Per fare un esempio tra tanti, gli studenti del liceo musicale possono riflettere sul valore della musica nei film di Pasolini, usata non solo come strumento comunicativo ma anche come elemento simbolico alla pari con l'immagine. L'entusiasmo con cui gli alunni hanno risposto all'iniziativa ha ulteriormente incoraggiato il lavoro del corpo docente. Un aspetto che appare importante è l'opportunità di divulgare e condividere con il territorio. Protagonisti del progetto saranno i ragazzi stessi, che dopo un'indagine attenta e documentata, comunicheranno i risultati del loro lavoro alla comunità non scolastica. Saranno le parole degli studenti, le loro riflessioni, a introdurre i film di Pasolini. La ricerca d'archivio produrrà una mostra pubblica e persino nei momenti più accademici e di approfondimento critico da parte dei loro docenti e degli esperti esterni, i ragazzi si sentiranno coinvolti in un dibattito attivo, in quella che Pasolini avrebbe detto "l'esperienza speciale che è la cultura".

*****

Il progetto, che si svilupperà tra novembre e maggio, è così articolato:

- Ciclo di cinque film: "Accattone", Uccellacci e Uccellini", "Teorema", "Medea", "Il Vangelo secondo Matteo"

- Tre reading di poesie

- Mostra nella Biblioteca Labronica: "Sulle tracce di Pasolini nelle collezioni e nelle biblioteche cittadine"

- Convegno con esperti del cinema e della letteratura di Pasolini.

Le proiezioni di "Accattone" e "Il Vangelo secondo Matteo" saranno accompagnate da esibizioni di brani musicali dei film a cura degli studenti del Liceo Musicale.

Il primo appuntamento è per lunedì il 2 novembre con la proiezione di "Accattone", che sarà preceduta a partire dalle 20.30 dalla presentazione del film da parte di studenti dell'istituto e dall'Andante del Secondo Concerto Brandeburghese di J. S. Bach eseguito da alunni del Liceo Musicale.



http://iltirreno.gelocal.it/livorno/cronaca/2015/10/28/news/a-scuola-con-pasolini-1.12345664




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Pasolini - « Il Mondo », 28 agosto 1975 - Il Processo

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« Il Mondo », 28 agosto 1975.
Il Processo
Pier Paolo Pasolini, Lettere Luterane, Einaudi, Torino, 1ª ed. 1976 - 1977.

Le Lettere luterane sono una raccolta di articoli che Pier Paolo Pasolini pubblicò sulle colonne del quotidiano Corriere della Sera e del settimanale Il Mondo nell'ultimo anno della sua vita, raccolte in volume l'anno successivo con il sottotitolo di Il progresso come falso progresso. Vi sono raccolti editoriali e interventi scritti tra l'inizio del 1975 e gli ultimi giorni di ottobre di quell'anno. I temi affrontati sono quelli dell'estraneità dei giovani, del conformismo, della televisione, del progresso e della politica in Italia.


Dunque: indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione di denaro pubblico, intrallazzo con i petrolieri, con gli industriali, con i banchieri, connivenza con la mafia, alto tradimento in favore di una nazione straniera, collaborazione con la Cia, uso illecito di enti come il Sid, responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia e Bologna (almeno in quanto colpevole incapacità di punirne gli esecutori), distruzione paesaggistica e urbanistica dell'Italia, responsabilità della degradazione antropologica degli italiani (responsabilità, questa, aggravata dalla sua totale inconsapevolezza), responsabilità della condizione, come si usa dire, paurosa, delle scuole, degli ospedali e di ogni opera pubblica primaria, responsabilità dell'abbandono «selvaggio» delle campagne, responsabilità dell'esplosione «selvaggia» della cultura di massa e dei massmedia, responsabilità della stupidità delittuosa della televisione, responsabilità del decadimento della Chiesa, e infine, oltre a tutto il resto, magari anche distribuzione borbonica di cariche pubbliche ad adulatori. Ecco l'elenco (cfr. «Il Mondo»), l'elenco «morale», dei reati commessi da coloro che hanno governato l'Italia negli ultimi trent'anni, e specie negli ultimi dieci: reati che dovrebbero trascinare almeno una dozzina di potenti democristiani sul banco degli imputati, in un regolare processo penale, simile, per la precisione, a quello celebrato contro Papadopulos e gli altri Colonnelli.

Perché insisto sempre a ripetere «specie negli ultimi dieci anni»?

Perché è appunto negli ultimi dieci anni che un modo di governare non solo tipico ma, direi, naturale, di tutta la storia italiana dall'unità in poi, si è configurato come un reato o come una serie di reati. Non faccio qui, dunque, questione di moralità: la colpevolezza dei potenti democristiani da trascinare sul banco degli imputati non consiste nella loro immoralità (che c'è), ma consiste in un errore di interpretazione politica nel giudicare se stessi e il potere di cui si erano messi al servizio: errore di interpretazione politica che ha avuto appunto conseguenze disastrose nella vita del nostro paese.

Sono solo, in mezzo alla campagna: in una solitudine reale, scelta come un bene. Qui non ho niente da perdere (e perciò posso dire tutto), ma non ho neanche niente da guadagnare (e perciò posso dire tutto a maggior ragione). Si interpreti come si vuole questa mia sete di solitudine, fino magari a ricordare le supposizioni di Elias Canetti (la solitudine è la condizione tipica dei tiranni): ma pregherei di non fare illazioni su un accorgimento retorico a cui reputo necessario ricorrere a questo punto.

L'immagine di Andreotti o Fanfani, di Gava o Restivo, ammanettati tra i carabinieri, sia un'immagine metaforica. Il loro processo sia una metafora. Al fine di rendere il mio discorso comico oltre che sublime (come ogni monologo! ), e soprattutto didascalicamente molto più chiaro. Cosa verrebbe rivelato alla coscienza dei cittadini italiani da tale Processo (oltre, si intende, alla fondatezza dei reati più sopra enunciati secondo una terminologia etica se non giuridica)?

Verrebbe rivelato ai cittadini italiani qualcosa di essenziale per la loro esistenza, cioè questo: i potenti democristiani che ci hanno governato negli ultimi dieci anni non hanno capito che si era storicamente esaurita la forma di potere che essi avevano servilmente servito nei vent'anni precedenti (traendone peraltro tutti i possibili profitti) e che la nuova forma di potere non sapeva più (e non sa più) che cosa farsene di loro.

Questa «millenaristica» verità è dunque essenziale per capire (al di là del Processo e delle sue condanne penali) che è finita l'epoca, appunto millenaria, di un «certo» potere ed è cominciata l'epoca di un certo «altro» potere. Ma soltanto un Processo potrebbe dare a questa astratta affermazione i caratteri di una verità storica inconfutabile, tale da determinare nel paese una nuova volontà politica.

Una volta condannati i nostri potenti democristiani (alla fucilazione, all'ergastolo, all'ammenda di una lira, cosa di cui qualsiasi cittadino infine si accontenterebbe) ogni confusione dovuta a una falsa e artificiale continuità del potere democristiano verrebbe vanificata. L'interruzione drammatica di tale continuità renderebbe al contrario chiaro a tutti non solo che un gruppo di corrotti, di inetti, di incapaci è stato democraticamente tolto di mezzo, ma soprattutto (ripeto) che un'epoca è finita e ne deve cominciare un'altra. Se invece questi potenti resteranno ai loro posti di potere – magari scambiandoseli un'ennesima volta –, se cioè la De, e con essa, quindi, il paese, opteranno per la continuità, più o meno drammatizzata, non sarà mai chiaro, per esempio, il fatto che gli italiani oggi sono laici almeno nella misura in cui fino a ieri erano cattolici, oppure che i valori dello sviluppo economico hanno dissolto tutti i possibili valori delle economie precedenti (insieme a quelli specificatamente ideologici e religiosi), oppure ancora che il nuovo potere ha bisogno di un nuovo tipo di uomo.

Ora (o almeno così sembra a un intellettuale solo in mezzo a un bosco) gli osservatori politici italiani insistono colpevolmente a optare, in fondo, per la continuità democristiana: per adesso anche i comunisti.

Gli osservatori borghesi indicano settorialmente, nel campo economico (e non dell'economia politica!!), le possibili soluzioni di quella che essi chiamano crisi ; gli osservatori comunisti - insieme a tale indicazione, naturalmente più radicale e pur accettando come buone le intenzioni dei democristiani demandati alla continuità – lamentano il persistente anticomunismo.

Ma che senso ha pretendere o sperare qualcosa da parte dei democristiani?
O addirittura chiedere loro qualcosa?

Non si può non solo governare, ma nemmeno amministrare senza dei principi. E il partito democristiano non ha mai avuto dei principi. Li ha identificati, e brutalmente, con quelli morali e religiosi della Chiesa in grazia della quale deteneva il potere. Una massa ignorante (e lo dico col più grande amore per questa massa) e una oligarchia di volgari demagoghi dalla fame insaziabile, non possono costituire un partito con un'anima. Ciò l'abbiamo sempre saputo, e l'abbiamo anche sempre detto: ma non l'abbiamo saputo e detto fino in fondo: per una ragione molto semplice:

perché la Chiesa cattolica era una realtà, e la maggioranza degli italiani erano cattolici.

E, per quanto inarticolato, questo era un argomento, che poteva celare anche verità migliori di quelle, repellenti, fatte proprie dai potenti democristiani: per esempio la cultura religiosa (in senso antropologico) delle masse popolari, o una possibile Chiesa rivangelizzata, ecc.

Ma ora questo argomento storico è caduto, perché è caduta la sua realtà. Quel «nulla ideologico mafioso» che è la Dc col suo interclassismo classico, non si fonda più su nulla (se non sulle rovine di un mondo che va rapidamente disfacendosi).

Se dunque tutto ciò è vero, quelle di Zaccagnini e degli altri «galantuomini della continuità», non sono che parole, e cioè parole ipocrite.

Torniamo dunque al nostro Processo (metaforico): ma stavolta in relazione e in funzione della politica del Pci ( o di un Psi ipoteticamente rinnovato da una sua «rivoluzione culturale»), che è l'unica che importa. Se, invece di fingere di accontentarsi delle parole dei «galantuomini della continuità», i comunisti e i socialisti decidessero di spezzare tale continuità intentando un Processo penale a Andreotti e a Fanfani, a Gava e a Restivo, ecc. ecc, che cosa metterebbero in chiaro una volta per sempre di fronte alla propria coscienza? Una serie di fatti banali che portano a un fatto essenziale, e cioè:

Primo fatto banale:

si presenterebbe, in tutta la sua estensione e profondità, ma anche in tutto il suo definitivo anacronismo, il quadro clerico-fascista in cui il malgoverno democristiano ha potuto essere attuato attraverso una serie di reati classici. Reati dunque non reati, in quanto consustanziali alla realtà del paese, e quindi (come quelli mussoliniani) perpetrati in fondo nel suo ambito e col suo consenso. Durante i primi venti anni del regime democristiano, si è governato un popolo storicamente incapace di dissentire: esattamente come durante il ventennio fascista, come durante l'Ottocento pontificio o borbonico, e addirittura come durante i secoli feudali.

Secondo fatto banale:

la qualificazione di «antifascista» (di cui insistono a gratificarsi uomini anche autorevoli di sinistra, che in questo non si distinguono affatto dai democristiani) diventa una sinonimia assurda, anzi, ridicola, di anti-borbonico o antifeudale...

Terzo fatto banale:

un paese non più clerico-fascista, e cioè un popolo non più religioso, non può non ripercuotere la propria realtà nel «Palazzo», vanificandone i codici e rendendo le manovre dei potenti degli automatismi pazzi (di cui son complici anche gli oppositori).

Fatto essenziale:

ciò che al contrario il Processo renderebbe chiaro – folgorante, definitivo - è che il contesto in cui governare non è più quello clerico- fascista, e che proprio nel non aver capito questo consiste il vero reato, politico, dei democristiani.
Il Processo renderebbe chiaro – folgorante, definitivo – che governare e amministrare bene non significa più governare e amministrare bene in relazione al vecchio potere, bensì in relazione al nuovo potere.

Per esempio:

i beni superflui in quantità enorme, ecco qualcosa di assolutamente nuovo rispetto a tutta la storia italiana, fatta di puro pane e miseria. Aver governato male, significa dunque non aver saputo far sì che i beni superflui fossero un fatto (come oggettivamente dovrebbe essere) positivo: ma che, al contrario, fossero un fatto corruttore, di selvaggia distruzione di valori, di deterioramento antropologico, ecologico, civile.

Altro esempio:

la democratizzazione derivante dal consumo estremamente esteso dei beni (compresi, perché no?, i beni superflui), ecco un'altra grande novità. Ebbene, l'aver governato male significa non aver fatto si che tale democratizzazione fosse reale, viva: ma che, al contrario, fosse un orribile appiattimento o un decentramento puramente enfatico (gestito in genere da illusi progressisti).

Altro esempio ancora:

la tolleranza, che il nuovo potere ha elargito, per delle sue buone ragioni, è anch'essa una grande novità. L'aver governato male – ancora una volta - consiste nel non aver fatto di tale tolleranza una conquista, ma di averla trasformata nella peggiore intolleranza reale che si sia mai vista (ossia la tolleranza di una maggioranza, resa sconfinata dalla sua nuova «qualità» di «massa», che tollera, in realtà, solo le infrazioni che fanno comodo a lei stessa).

Quindi, nella mia ansia didascalica, insisto:

governare bene o amministrare bene non significa più affatto governare bene o amministrare bene rispetto al governare male o all'amministrare male clerico-fascista (e quindi democristiano). La moralità politica non consiste più nel confrontarsi con l'immoralità clerico- fascista e magari col debellarla: cosa che i democristiani, in quanto cristiani, hanno sempre detto, a parole, di voler fare. Di conseguenza, se i comunisti - nelle giunte amministrative regionali, provinciali e comunali – si limitassero ad attenersi a una simile moralità politica, essi altro non sarebbero che i veri democristiani.

Ma - e questo è il punto - anche facendo dei beni superflui, della democratizzazione consumistica e della falsa tolleranza, qualcosa di avanzato, di vivo, di reale - anche in tal caso - i comunisti altro non sarebbero che i veri democristiani. Perché? Perché beni superflui, democratizzazione consumistica, 'tolleranza sono fenomeni che caratterizzano il nuovo potere (il nuovo modo di produzione) e tale nuovo potere (tale nuovo modo di produzione) è capitalistico. Bologna è in realtà un esempio di come avrebbe dovuto essere amministrata dai democristiani una città. Ma è a questo punto che si ha il «risvolto» del mio presente scritto (reso evidentemente romanzesco dalla presenza di un Processo...)

Il «risvolto» consiste in questo:

la continuità democristiana, voluta in realtà da tutti indistintamente - in barba alla terribile «crisi», da' tutti, altrettanto indistintamente, recepita e drammatizzata - in realtà non è possibile.

Infatti i democristiani per poter governare, anche nel flusso ipocrita di tale continuità, non possono più a questo punto non tentare anche sul piano puramente pratico (di altro non sono capaci) un'individuazione e una analisi della «novità del potere»: «novità del potere» che, se da loro individuata e analizzata, finirebbe fatalmente con l'annullarli.

Ugualmente i comunisti – nel caso che accettassero senza Processo tale continuità - altro non potrebbero fare, come ho detto, che della morale e non della politica. Perché anch'essi, individuando attraverso un sincero e profondo esame politico quella «novità del potere» che i democristiani non vogliono né possono individuare, sarebbero, da tale «novità» annullati in quanto comunisti (sarebbero appunto ridotti a sostituti dei democristiani).

Posso ora tentare qualche-previsione, naturalmente priva di ogni buon gusto?

Primo:

è inevitabile che il vuoto di potere democristiano venga riempito dal potere comunista, e ciò al di là del «compromesso storico». Tale «compromesso» era accettabile e concepibile solo ed esclusivamente con la massa dei lavoratori cattolici. Ma tali lavoratori cattolici non ci sono più (se non come «nomina», o nelle ultime sacche dell'Italia umile). Ë inoltre inevitabile che se il potere comunista riempirà il vuoto del potere democristiano, potrà farlo solo inizialmente come «ersatz», in effetti finirà col farlo proprio come «potere comunista».

Secondo:

la scomparsa delle masse dei lavoratori cattolici, specie naturalmente dei contadini, trasforma completamente il senso della Chiesa, che solo fino a una decina d'anni fa poteva fornire ai democristiani quei principi morali o spirituali atti a «ben governare» (viene da ridere a dirlo). Ora la Chiesa altro non è che una potenza finanziaria: e quindi una potenza straniera.

Terzo:

in Italia non c'è il rame, né c'è la Itt. Però in Italia ci sono basi missilistiche fondamentali. Le multinazionali se ne sono andate: ma per sempre? E la Cia?

Quarto:

lo spezzarsi naturale della continuità democristiana – travolta dal ripercuotersi di una nuova realtà del paese nel Palazzo – si risolverà probabilmente con la formazione di un piccolo partito cattolico socialista (di carattere non più contadino, ma urbano), e di un grande partito teologico: un Tecno- fascismo, finanziato, dunque, da due potenze straniere, e in grado di trovare, nelle enormi masse «imponderabili» di giovani che vivono un mondo senza valori, una potente truppa psicologicamente neonazista.

Ed è a questo punto che possiamo, credo con giustificata ansia, «uscir di metafora» e dare al nostro favolistico Processo una connotazione concreta e reale.

L'immagine dei potenti democristiani ammanettati tra i carabinieri è un'immagine su cui riflettere seriamente. Ma devo farlo solo io, in mezzo a un bosco di querce?

Questa volta non mi va di essere ignorato, snobbato, lasciato solo al mio monologo, come dice Carlo Bo. Farò dunque un appello nominale, sia pur limitato e un po' fazioso. A dire se ci sono gli estremi per un vero e proprio Processo ai potenti democristiani, e come giuridicamente formalizzarlo, vorrei che intervenisse Vittore Branca. A discuterne, vorrei che contribuisse Leo Valiani (magari per riabilitarsi da una discussione piuttosto vacua sul vecchio fascismo); Claudio Petruccioli (un cui articolo di fondo sull'«Unità» ho preso come «specimen» dell'atteggiamento attuale dei comunisti); Italo Zanetti (dalla cui rivista ho desunto quasi tutte le informazioni su cui ho basato questo mio scritto); Giorgio Bocca (che potrebbe così spendersi in una battaglia difficile e smetterla di cadere ottusamente nella trappola delle provocazioni da lui stesso estrapolate); Alberto Moravia (che ha sempre qualcosa di intelligente da dire, specie quando si libera dalle suggestioni dell'Ecclesiaste).

Caro Direttore,
Alla fine del mio articolo Il processo, pubblicato sul «Corriere» ieri, 24 agosto, ho commesso due gravi lapsus: ho scritto Vittore Branca, anziché Giuseppe Branca, e Italo Zanetti anziché Livio Zanetti. Evidentemente, poiché alla fine dell'articolo ho voluto un po' scherzare, mentre in realtà le mani mi tremavano, sono stato giustamente punito dal mio Censore. Non gravemente però: perché, quanto ai Branca, penso che sia riuscito chiaro a tutti che mi riferivo al Branca giurista, al grande e angelico giurista, e quanto a Zanetti, l'unico atroce dubbio possibile è che io abbia compiuto una illogicissima consustanziazione inconscia con Italo Pietra!
Suo Pier Paolo Pasolini


 
 
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Pier Paolo Pasolini - Profezie di un Poeta di Periferia

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Notizie
 
Pier Paolo Pasolini - Profezie di un Poeta di Periferia
Contributo dei visitatori
Fano Stefano Dall'Igna


In occasione del quarantesimo anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini, proponiamo, nel territorio della provincia di Vicenza, una serie di eventi finalizzati alla scoperta e all'approfondimento di questo poeta, "tra i pochissimi che contano", come ha gridato Moravia all'indomani della morte del letterato friulano.

Supportati dalla partecipazione del Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa Della Delizia, presentiamo mostre fotografiche, convegni che approfondiscano la figura di Pasolini e alcuni aspetti della sua vita e delle sue opere, alcuni suoi film, film riguardanti la sua figura o ispirati dalla sua produzione cinematografica, spettacoli, messi in atto da artisti contemporanei, dedicati allo scrittore.

Il filo conduttore della rassegna è la "periferia", tema caro a Pasolini uomo e letterato: la periferia friulana l'ha visto crescere, quella romana lo ha accolto e inghiottito, fino a portarselo via.

Lo stesso pensiero pasoliniano è stato relegato al margine dei poteri politici e istituzionali dell'Italia dell'epoca, come le sue opere rifiutate perchè non pienamente comprese.

Ma proprio scavando ai margini della società Pasolini ritrova la sacralità, la genuinità e la vitalità che il "centro" ha perduto.


Di seguito gli eventi che compongono la rassegna:
 

11 novembre 2015 ore 20.30
Un uomo fioriva
Un film di Enzo Lavagnini. Con Andrea David Quinzi, Anna Macci.
Documentario, b/n durata 70 minuti. Italia 1993.
Sarà ospite il regista Enzo Lavagnini.
Ingresso 3 euro.
Presso Cinema Campana, via Vittorio Veneto 2, Marano Vicentino.

15 novembre 2015 ore 17.00
Pasolini
Presentazione del fumetto di Davide Toffolo.
Presso l’auditorium comunale di Marano Vicentino, via Marconi.

18 novembre 2015 ore 20.30
Accattone
Un film di Pier Paolo Pasolini. Con Franco Citti, Franca Pasut, Adriana Asti, Silvana Corsini, Paola Guidi.
Drammatico, b/n durata 116 min. Italia 1961.
Ingresso 3 euro.
Presso Cinema Campana, via Vittorio Veneto 2, Marano Vicentino.

25 novembre 2015 ore 20.30
Pasolini
Un film di Abel Ferrara. Con Willem Dafoe, Ninetto Davoli, Riccardo Scamarcio, Valerio Mastandrea, Adriana Asti.
Biografico, durata 86 min. Belgio, Italia, Francia 2014.
Sarà ospite l’attore Ninetto Davoli.
Ingresso 10 euro, prevendita disponibile a breve.
Presso Cinema Campana, via Vittorio Veneto 2, Marano Vicentino.

13 dicembre 2015 ore 20.30
La religione del mio tempo
Reading di Pierpaolo Capovilla.
Ingresso 10 euro.
Presso CSA Arcadia, via lago di Tovel, Schio.

Giovedì 28 gennaio alle ore 18.00
Pasolini e il territorio
Diattito con Angela Felice del Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia (PN).
Presso la biblioteca civica di Santorso.

30 gennaio 2016 ore 20.30
Comizi d’amore
Un film di Pier Paolo Pasolini. Con Alberto Moravia, Antonella Lualdi, Graziella Granata, Susanna Pasolini.
Documentario, b/n durata 90 min. Italia 1964.
Presso il teatro San Sebastiano di Valli del Pasubio.

Dal 6 febbraio al 13 marzo 2016
Dalla casa della madre
Mostra fotografica, Pasolini negli scatti di Letizia Battaglia.
Presso la Galleria Civica di Villa Valle, Valdagno.
Eventi orgnizzati da:
Cinema Campana di Marano Vicentino;
Comune di Marao Vicentino;
Comune di Santorso;
Comune di Valdagno;
Comune di Valli del Pasubio;
C.S.A. Arcadia di Schio.
 



 
 
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Pasolini. Poesie friulane

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Pasolini. Poesie friulane
 
   La meglio gioventù
Vol. I Poesie a Casarsa 1941-1943
I. Poesie a Casarsa
I. Casarsa
II. Alelujia
III. La domenica uliva
II. Suite furlana 1944-1949
I. Linguaggio dei fanciulli di sera
II. Danze
III. Lieder
Appendice 1950-1953
Vol. II Romancero 1947-1953
I. Il testament Coràn 1947-1952
II. Romancero 1953
I. I colus
II. Il Vecchio Testamento
Nota
La nuova gioventù
(seconda forma de "La meglio gioventù" (1974)
La meglio gioventù 1941-1953
Seconda forma de
"La meglio gioventù"1974
1. - Poesie a Casarsa
I. Casarsa
II. Alelujia
III. La domenica uliva
2. - Suite furlana 1944-1949
I. Linguaggio dei fanciulli di sera
II. Danze
Tetro entusiasmo 1973-1974
(Poesie italo-friulane)
Nota 1974
Poesie a Casarsa 1942
(A mio padre)
I. Poesie a Casarsa
II. La domenica uliva
Dov’è la mia patria 1949
Edizioni dell’Academiuta de Lenga
Furlana, Casarsa - con 13 disegni di
Giuseppe Zigaina
Tal còur di un frut
(Nel cuore di un fanciullo)
I. Ciasarsa
II. Tal còur di un frut
III. Suite furlana
IV. Chan plor
Poesie dimenticate
La Julia 1943
A Versuta 1943-1945
Lieder 1949
Il Gloria 1950-1953
Poesie disperse I (solo in parte in friulano)
Poesie disperse II (solo in parte in friulano)
Poesie inedite
Da Poesie furlane 1946-1947
Ciasarsa

"Non è soltanto una eccezionale intelligenza ma un poeta, con un fulmineo senso della costruzione e del particolare, dell’intonazione e delle risorse metriche. A differenza di quasi tutta la poesia del Novecento e dell’Avanguardia italiana, ha rifuggito dalla purezza, omogeneità e assolutezza: ha accettato il trucco, la maschera, la circonlocuzione, la contaminazione di stili tecniche linguaggi, ha perseguito l’autenticità attraverso il suo opposto." Così si esprime a proposito di Pasolini un altro grande poeta del Novecento, Franco Fortini.

Pasolini iniziò la propria esperienza poetica nei primi anni Quaranta, scrivendo versi nel dialetto friulano di Casarsa. Trascorsa l’infanzia a Casarsa, il paese originario della madre, si trasferì a Cremona dopo aver iniziato il ginnasio a Conegliano; subito dopo andò a vivere a Scandiano, vicino a Reggio Emilia; dal 1936 terminò il liceo a Bologna, e in questa città si iscrisse poi all’Università. Con la guerra e i bombardamenti delle città italiane, nell’inverno 1942-43, Susanna Pasolini decise di sfollare con i due figli, Pier Paolo e Guido, a Casarsa, suo paese di origine in Friuli.

Di questa "patria friulana" Pier Paolo Pasolini dirà, scrivendo a un amico: "Ogni immagine di questa terra, ogni volto umano, ogni battere di campane, mi viene gettato contro il cuore ferendomi con un dolore quasi fisico. Non ho un momento di calma, perché vivo sempre gettato nel futuro: se bevo un bicchiere di vino, e rido forte con gli amici, mi vedo bere, e mi sento gridare, con disperazione immensa e accorata, con un rimpianto prematuro di quanto faccio e godo, una coscienza continuamente viva e dolorosa del tempo".

In quei luoghi, nei quali ogni gesto che fanno coloro che sono intorno a lui è una fitta al cuore ("chiede una collocazione nuova nella mia immagine del mondo"), Pasolini scrive quello che sarà il suo primo libro pubblicato, Poesie a Casarsa. Il volume è del 1942 e l’editore è la Libreria antiquaria Mario Landi di Bologna. Gianfranco Contini, insegnante di filologia romanza a Friburgo - che ricevette il libro dal libraio Landi, suo amico - comunicò a Pasolini che le poesie gli erano piaciute e ne avrebbe fatto una recensione ("Ho saltato e ballato per i portici di Bologna", dirà a sua volta il poeta). La recensione avrebbe dovuto uscire su "Primato", una pubblicazione dell’epoca, ma il periodico, trattandosi di un commento a una raccolta di poesie dialettali, la censurò: apparve invece sul "Corriere di Lugano" del 24 aprile 1943. Diceva, tra l’altro: "L’odore era quello irrefutabile della poesia, in una specie inconsueta, per di più in una di quelle non so se dire quasi-lingue o lingue minori che era mia passione e professione frequentare […] Basti senz’altro raffigurarsi innanzi il suo mondo poetico, per rendersi conto dello scandalo ch’esso introduce negli annali della letteratura dialettale".

Lo "scandalo" era la trasgressione costituita dall’uso di un dialetto, in un paese a regime fascista che osteggiava l’uso delle "lingue barbare": "Il fascismo, con mia grande sorpresa, non ammetteva che in Italia ci fossero dei particolarismi locali e degli idiomi di ostinati imbelli […] Ormai l’antifascismo cessava di essere puramente culturale: sì, poiché il Male lo sperimentavo nel mio caso", commentò Pasolini. Nelle Poesie a Casarsa, inoltre, vi era lo "scandalo", anche se molto delicato, discreto e nascosto, di un sottile filo omoerotico che attraversava quelle composizioni.
Dili
Ti jos, Dili, ta li cassis
a plòuf. I cians si scunìssin
pal plan verdùt.
Ti jos, tai nustris cuàrps,
la fres-cia rosada
dal timp pirdùt.
 
DILIO. Vedi, Dilio, sulle acacie piove. I cani si sfiatano per il piano verdino.
Vedi, fanciullo, sui nostri corpi la fresca riguada del tempo perduto.
(da Poesie a Casarsa)

 
A Rosari
Tu la ciera la ciar a pesa
tal sèil a ven di lus.
No sta sbassà i vuj, puòr zòvin,
se tal grin l’ombrena a è greva.
Rit, tu, zòvin lizèir,
sintìnt in tal to cuàrp
la ciera cialda e scura
e il fresc, clar sèil.
In miès da la puora Glisia
al è pens di peciàt il to scur
ma ta la to lus lizera
al rit il distìn di un pur.
 
A ROSARIO. Nella terra la carne è greve, nel cielo si fa di luce. Non abbassare gli occhi, povero giovane, se nel grembo l’ombra pesa.
Ridi tu, giovane leggero, sentendo nel tuo corpo la terra calda e scura e il fresco, chiaro cielo.
In mezzo alla povera chiesa è pieno di peccato il tuo buio, ma nella tua luce leggera ride il destino di un puro.
(da Suite furlana)

Poesie a Casarsa (1941-1943) sarà poi ripubblicato, più avanti, in seconda stesura, insieme a una Suite furlana (1944-1949), a un’Appendice del 1950-1953, e a Il testament Coran, del 1947-1952 (poesie ispirate agli eventi partigiani). Delle traduzioni italiane che appaiono sempre dopo il testo in friulano, Pasolini dirà che egli stesso le ha stese con cura "e quasi, idealmente, contemporaneamente al friulano, pensando che piuttosto che non essere letto fosse preferibile essere letto soltanto in esse". Il titolo di questa seconda raccolta è La meglio gioventù; riecheggia un triste canto degli alpini della prima guerra mondiale (la megio zoventù la va soto tera). Il volume sarà dedicato proprio a suo primo recensore, Gianfranco Contini.
Dansa di Narcìs
Jo i soj neri di amòur
né frut né rosignòul
dut intèir coma un flòur
i brami sensa sen.
Soj levat ienfra li violis
intant ch’a sclariva,
ciantànt un ciant dismintiàt
ta la not vualiva.
Mi soj dit: "Narcìs!"
e un spirt cu’l me vis
al scuriva la erba
cu’l clar dai so ris.
 
DANZA DI NARCISO. Io sono nero di amore, né fanciullo né usignolo, tutto intero come un fiore, desidero senza desiderio.
Mi sono alzato tra le viole, mentre albeggiava, cantando un canto dimenticato nella notte uguale. Mi sono detto: "Narciso!", e uno spirito col mio viso oscurava l’erba al chiarore dei suoi ricci.
(da Suite furlana, II Danze)

Il "viaggio al cuore della lingua materna" nasce da un’attenzione del poeta ai particolari anche minuti della vita quotidiana, alla creatività che egli sa cogliere nelle parole dei contadini, al loro "attenersi alle regole d’onore della lingua […] senza temere di variarla con personali e azzardate invenzioni".
"La madre di Stefano stava appoggiata alla sponda del letto, interloquendo con grazia e vivacità, assistita dal tepore dei suoi occhi neri e dall’inconscio vezzo di ripiegare il capo con un gesto di bambina imbarazzata ma non timida, e, nel parlare, si copriva la bocca con la mano gonfia (altra fonte di commozione), certo per tener nascosti almeno in parte i suoi errori di alloglotta, certi mi dolcemente veneti al posto del friulano jo, certi dolci th che, sostituendo l’s sonora, davano alle parole non so che intonazione fanciullesca."

Pasolini estende agevolmente le proprie osservazioni all’intero Friuli, poiché "era possibile in dieci minuti di bicicletta passare da un’area linguistica a un’altra più arcaica di cinquant’anni, o un secolo, o anche due secoli". E le sue poesie nascono come frutto di "immediata gioia espressiva" secondo una definizione di Enzo Siciliano (Pasolini, una vita). Lo dichiara Pasolini, parlando di se stesso in terza persona: "in questa gioia immediata, che egli cercava di sagra in sagra, di gioventù in gioventù, persisteva però sempre un fondo di angoscia, una tetra sensazione, di non poter mai giungere al centro di quella vita che, così accorante e invidiabile, si svolgeva nel cuore di quei paesi".
Lùnis
I.
Timp furlan! Na scussa umida
di sanbùc, na stela
nassuda nenfra il fun
dai fogolàrs, na sera
pluvisina - un pulvìn di fen.
tai ciavièj o in tal sen
di un frut ch’al ven
sudàt da la ciampagna
ta la sera rovana.
[…]
 
LUNEDÌ. I. Tempo friulano! Una scorza umida di sambuco, una stella nata in mezzo al fumo dei focolari, in una sera piovigginosa – un pulviscolo di fieno nei capelli o nel petto di un ragazzo, che viene sudato dalla campagna nella sera infuocata. […]
(da La meglio gioventù)


 
Cansion
Lassàt in tal recuàrt
a fruvati, e in ta la lontanansa
a lusi, sensa dòul jo i mi inpensi
di te, sensa speransa.
(Al ven sempri pì sidìn e alt
il mar dai àins; e i to pras plens
di timp romai àrsit, i to puòrs vencs
ros di muarta padima, a son ta l’or
di chel mar: pierdùs, e no planzùs).
Lassàs là scunussùs
ta ciamps fores-c’ dopu che tant intòr
di lòur ài spasemàt
di amòur par capiju, par capì il puòr
lusìnt e pens so essi, a si àn sieràt
cun te i to òmis sot di un sèil nulàt.
[…]
 
CANZONE. Lasciato nella memoria a logorarti, e nella lontananza a splendere, io mi ricordo di te, senza pena, senza speranza. (Si fa sempre più silenzioso e alto il mare degli anni; e i tuoi prati pieni di tempo ormai arso, i tuoi poveri venchi rossi di un morto riposo, sono sull’orlo di quel mare: perduti e non pianti). Lasciati là sconosciuti, in campi stranieri dopo che tanto intorno ad essi ho spasimato di amore per capirli, per capire il povero, lucente e duro loro essere, si sono chiusi con te i tuoi uomini sotto un cielo annuvolato. […]
(da La meglio gioventù)

Franco Fortini fu molto impressionato dalle poesie di La meglio gioventù, pubblicate dalle Edizioni dell’Academiuta de Lenga Furlana, di Casarsa, nel 1949 e che conobbe in una successiva edizione Sansoni (1964). Fortini dice, in Attraverso Pasolini, di ricordare, in particolare El testament Coràn, una poesia in settantadue versi di particolare bellezza anche per la musicalità della lingua friulana

El testament Coràn narra di un ragazzo di sedici anni (la vicenda è del 1944), comunista, dal "cuore ruvido e disordinato". Orfano, lavorava per una famiglia di vicini, e la notte andava a prendere rane con altri ragazzi e poi si fermava con loro nel boschetto a giocare a carte e a cantare. La domenica, con la stessa compagnia, andava "via in bicicletta per luoghi di un incanto senza prezzo". Incontra una ragazzina, Neta, di tredici anni, e va con lei…: è la sua "prima volta". Scappa "pieno di ardore" a raccontare agli amici la grande novità della sua vita: ma il paese è "deserto come un mare", la casa dei vicini brucia, le luci sono tutte spente; nella piazza vede un morto, in una pozza di sangue rappreso. Quattro tedeschi lo prendono, lo caricano su un camion: dopo tre giorni lo impiccano "al gelso dell’osteria". Il ragazzo dichiara di lasciare in eredità la propria immagine "nella coscienza dei ricchi" e il suo ultimo "evviva"è per il "coraggio, il dolore e l’innocenza dei poveri". C’è nella bellissima poesia un coraggio e un eroismo che commuovono e che ispirano profondo dolore ma anche una sorta di luminosa speranza nel futuro,
El testament Coràn
In ta l’an dal quaranta quatro
fevi el gardòn dei Botèrs:
al era il nuostri timp sacro
sabuìt dal soul del dovèr.
Nuvuli negri tal foghèr
thàculi blanci in tal thièl
a eri la pòura e el piathèr
de amà la falth e el martièl
[…]
Lassi in reditàt la me imàdin
ta la cosientha dai siòrs.
I vuòj vuòiti, i àbith ch’a nasin
dei me tamari sudòurs,
Coi todescs no ài vut timour
de tradì la me dovenetha.
Viva il coragiu, el dolòur
e la nothentha dei puarèth!
IL TESTAMENTO CORAN. Nel mille novecento quaranta quattro facevo il famiglio dei Botèr; era il nostro tempo sacro, arso dal sole del dovere. Nuvole nere sul focolare, macchie bianche nel cielo, erano la paura e il piacere di amare la falce e il martello. […]
Lascio in eredità la mia immagine nella coscienza dei ricchi. Gli occhi vuoti, i vestiti che odorano dei miei rozzi sudori. Coi tedeschi non ho avuto paura di tradire la mia giovinezza. Evviva il coraggio, il dolore e l’innocenza dei poveri!
(Da La meglio gioventù)

Nel volume già citato, Enzo Siciliano chiarisce ancora: "Scrivere poesia in friulano legava il poeta al nucleo di quella ‘vita’ [quella delle campagne friulane], ma, insieme, vistosamente segnava la sua lontananza e diversità da essa. Solo uno ‘straniero’ avrebbe potuto trascegliere suono da suono, vocabolo da vocabolo nelle proprie vergini orecchie".

In sintonia con Siciliano è Fortini: "Per Pasolini la poetica romantico-popolareggiante e la poetica veristica si sono realizzate quasi unicamente nei dialetti e ‘delineare una storia di questo fenomeno sarebbe forse dare un volto meglio contornato all’Italia umbertina’. […] Ci si inoltra nella lettura di testi noti e ignoti, spesso straordinari, sempre rivelatori, con l’impressione di curvarsi sul mistero della nostra provincia e della nostra storia recente".
Agreste n. 3
A sgrìsulin, a ùitin, a piulin
als, als, als, tal sèil i usiei.
La neif tai mons a brila
alta tsal sèil. I usiei
in-t-al çaldùt dal nul
a clamin
tan prin soreli a clamin
la primavera.
 
[Trillano, cinguettano, pigolano, alti, alti, alti nel cielo gli uccelli. La neve sui monti brilla alta nel cielo. Gli uccelli nel calduccio del nuvolo, chiamano, nel primo sole chiamano, la primavera.]
(da Poesie disperse I)

Nel 1952 Pasolini curò con Mario Dell’Arco una antologia dal titolo Poesia dialettale del Novecento. Franco Fortini così intervenne su "Comunità" in merito a tale lavoro: "Il saggio [di Pasolini-Dell’Arco] contiene, in filigrana, la tesi che nella poesia dialettale di questo mezzo secolo si debba vedere, in partenza, il conflitto fra il ‘populismo’ piccolo-borghese, romantico-veristico e l’ansia internazionale, cosmopolitica, della cultura in lingua, quella che Gramsci chiama la vocazione cosmopolitica degli intellettuali italiani con la loro "disorganicità" apparente (cui corrisponde una inconscia, e quindi deleteria, inserzione organica al servizio delle ideologie della classe dominante); e, in arrivo, un vero e proprio "genere letterario", quale può nascere non già dal rifiuto ma dall’accettazione della cultura internazionale. […]

"Non conosco, insomma, un libro di poesia che come questo avvii la possibilità d’una storia reale e nuova della nostra generazione. Se è possibile - con l’improntitudine delle quattro parole - accennare ai termini nei quali il discorso sui dialettali potrebbe essere ripreso, Gramsci e Pavese potrebbero darci consigli utili. Il primo, mostrandoci - come in parte ha inteso il Pasolini - a quali complessi ideologici e sociali riferire la polemica dei dialettali, quale sia il loro "regresso" e quale il loro "progresso"; e come la debolezza della nostra borghesia nazionale, l’incapacità a prender coscienza di sé e a far fronte al mondo moderno, abbia favorito, forse in Italia più che altrove, la scissione e la contraddizione fra la letteratura d’avanguardia e la letteratura e cultura regionali; questa, impedita ad un certo punto dal risolversi in lingua, quella tagliata fuori dalle radici sociali e diventata letteratura di déracinés" (sradicati).
Alba
O sen svejàt
dal nòuf soreli!
O me cialt jet
bagnàt di àgrimis!
Cu n’altra lus
mi svej a planzi
i dìs ch’a svualin
via come ombrenis.

ALBA. O petto svegliato dal nuovo sole! O mio caldo letto bagnato di lacrime!
Con un’altra luce mi sveglio a piangere i giorni che volano via come ombre.
[Versione friulana di Alba in L’usignolo della Chiesa Cattolica]
(Da Poesie dimenticate, Società filologica friulana, Udine 1965)


Fonte: http://pigi.unipv.it/_PPP/Lep.html




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La Rabbia di Pasolini - L’oppressione dell’Ungheria

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La rabbia di Pasolini



« ho scritto questo film, senza seguire un filo cronologico e forse neanche logico,
ma soltanto le mie ragioni politiche e il mio sentimento poetico».



Indice:






L’oppressione dell’Ungheria 

La parola chiave è Libertà. E il film inizia con le immagini di un grave vulnus alla libertà, l’invasione dell’Ungheria nel 1956 da parte delle truppe sovietiche. Pasolini, mentre scorrono le immagini le commenta con poesie che vengono lette da Renato Guttuso.




Neri inverni d’Ungheria:

è scoppiata la Controrivoluzione.

Nere città d’Ungheria:

i fratelli bianchi uccidono.

Neri ricordi d’Ungheria:

i fratelli borghesi non perdonano.

Nera pace d’Ungheria:

chiedono sangue per le colpe di Stalin.

Nero sole d’Ungheria:
le colpe di Stalin sono le nostre colpe.

Se non si grida evviva la libertà umilmente
Non si grida evviva la libertà.
Se non si grida evviva la libertà ridendo
Non si grida evviva la libertà.
Se non si grida evviva la libertà con amore
Non si grida evviva la libertà.
Voi, figli dei figli gridate
con disprezzo, con rabbia, con odio evviva la libertà.
Perciò non gridate evviva la libertà.
Questo sappiate, figli dei figli.
Che gridate evviva la libertà con disprezzo, con rabbia, con odio

Nera serata di Parigi,
la borghesia francese va alla Bastiglia.
Neri boulevards di Parigi,
i suoi leaders marciano come colonnelli.
Neri presagi di Parigi,
la libertà è diventata un dolore.
Nero frastuono di Parigi,
Bideaut ha già in cuore il fascismo.
Nero futuro di Parigi,
la borghesia francese gridando muore.

Queste nevi erano dell’altr’anno,
o di mille anni fa, prima d’ogni speranza.
Sono madri nostre, figli, nipoti,
vecchi parenti nostri, queste figure identiche,
sopravvissute dai giorni del pianto – che piangono.
Il quarantatré, il quarantaquattro, essi
sono gli anni di questo biancore,
di questa emigrazione! Non erano trascorsi,
erano qui, con le loro indelebili nevi,
con le loro ereditarie lacrime.»


L’oppressione dell’Ungheria non deve far dimenticare ancora una volta l’oppressione coloniale degli stati europei. Nello stesso anno, Francia, Inghilterra e Israele tetano di impadronirsi del canale di Suez, suscitando la ribellione degli egiziani.

Funebri astati di Allah

Pattuglie egiziane sparano

Funebri silenzi di Allah

Miserabili uomini di colore sparano

Funebre sole di Allah

In nome di mille popoli sottoproletari






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La Rabbia di Pasolini - È il turno dei popoli africani, la volta di Cuba, la lotta di classe.

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Indice:



       
      Ma la libertà è un principio che si diffonde nel mondo. 


      Scoppia un nuovo problema nel mondo

      Si chiama colore.

      Si chiama colore la nuova estensione del mondo

      Dobbiamo annettere l’idea di migliaia di figli neri o marroni
      Infanti con l’occhio nero e la nuca ricciuta.
      Altre voci, altri sguardi, altre danze.
      Tutto dovrà diventare familiare, ingrandire la terra.
      Dobbiamo accettare distese infinite di vite reali
      che vogliono, con innocente ferocia,
      entrare nella nostra realtà.
      Sono i giorni della gioia, i giorni della vittoria.

      Gente di colore.
      La Tunisia vive la liberazione
      Si preparano anni di miseria, di lavoro, di errore
      Gente di colore.
      È nella speranza che l’uomo non ha colore.
      Gioia dopo gioia
      Vittoria dopo vittoria.
      Gente di colore.
      Il Tanganika è libero.
      Una povera libertà di cui l’Europa può sorridere.
      Gente di colore.
      Un’altra nazione dell’Africa è indipendente.
      Una libertà elementare,
      con tutta la strada ancora da percorrere.
      L’unico colore è il colore dell’uomo
      Nella gioia di affrontare la propria oscurità
      Gente di colore.
      E nella vittoria che l’unico colore è il colore dell’uomo.
      La vittoria costerà sudore.
      I nemici sono fra gli stessi fratelli
      La vittoria costerà terrore,
      i fratelli attaccati al terrore antico.
      La vittoria costerà ingiustizia,
      i fratelli nella loro ferocia, innocenti.


      Poi è la volta di Cuba (1960-62) 



      Forse solo una canzone poté dire

      Cos’era il combattere a Cuba.



      Combattere a Cuba.
      Forse solo un ballo poté dire
      Cos’era il combattere a Cuba.
      Combattere a Cuba.
      Era come combattere in mari inesplorati
      Fatto di guerre selvagge
      Combattere a Cuba.
      Ora Cuba è nel mondo
      Nei testi d’Europa e d’America
      si spiega il senso del combattere a Cuba.
      Una spiegazione feroce
      Che solo la pietà può rendere umana
      Nella luce del canto.
      Il combattere a Cuba.

      Morire a Cuba
      Forse solo una canzone poté dire
      Cos’era il morire a Cuba.
      Morire a Cuba.
      Era come morire a Napoli o Siviglia
      Passo di decessi miserabili
      Morire a Cuba.
      Ora Cuba è nel mondo.
      Nei testi d’Europa e d’America
      si spiega il senso del morire a Cuba.
      Una spiegazione feroce
      Che solo la pietà può rendere umana
      Nella luce del pianto.
      Il morire a Cuba.

      Voce dell’umorismo sciocco,
      della paura della cultura,
      scatenati, è il tuo momento
      Tira, tira il tuo sospiro di sollievo
      Voce della quotidiana volgarità.


      La lotta di classe.




      Forse in molti paesi del mondo

      Certo nel mio, che si chiama Italia,

      il capitale si sente restaurato
      il giorno che può ricominciare a comprare.
      Comprare un operaio non costa nulla.
      Basta far balenare alla nobiltà del suo cuore
      Un riconoscimento di nobiltà.
      È buon figlio, è buon padre
      E vuole, disperato, anche lui essere spirito,
      far parte dei festini di chi non vive di solo pane.
      Può diventare cattivo come un cane fedele,
      il disperato operaio bianco
      perché sa, nel fondo della sua coscienza
      di non essere degno.
      E gli occhi gli brillano di una luce di fiele.
      Per una bandiera rossa tradita,
      un’effige di Dio ritrovata.
      Ma l’oscurità della coscienza non richiede Dio,
      bensì le sue statue.
      La terribile forza dei farisei è non temere il banale e il ridicolo.
      È con commuovente onestà che essi compiono io loro rito.
      Sì, voce degli industriali
      Voce della finta imparzialità.
      Essi diventano poeti,
      purché la poesia sia pura forma,
      voce dell’incoercibile formalismo.






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      La Rabbia di Paolini - La democrazia, la fede, l’URSS.

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      Indice:



       
      La democrazia: incoronazione di Elisabetta.



      Eh dolce regina,
      commuovente sposa borghese, timida anche,
      col suo complesso d’inferiorità
      e la sua buona educazione
      che le impedisce di dimostrarsi viva.
      Eh, le riforme, stupendamente civili, certo,
      ma quale sarà il futuro di una classe operaia
      che oggi sciopera per il diritto all’ora del tè?

      Duro, disadorno, severo è l’idillio.
      Non teme ironia di poeti
      Né incredulità di democratici
      Ma c’è qualcosa di terribile nella prigionia del tempo,
      nel dominio liberale e il presidente della storia.

      La fede, Giovanni XXIII



      Un guerriero se ne va armato di silenzio
      Verso là, dove non c’è più storia
      Ah, nessuno di questi dignitari in lacrime
      Saprà o vorrà mai sapere
      Per quali necessità e per quali ragioni
      La cristianità è diventata
      Da religione di re religione borghese.
      Seguono ora il borghesi
      Coi loro fratelli sottoproletari
      Il feretro del papa aristocratico,
      come nella piazza di un grande e funebre paese.
      Bruni negozianti romani
      Popolane dallo sguardo epilettico di zingare,
      pallidi burocrati italici
      è la folla degli anni Sessanta
      la marea del nostro secolo
      che ha bisogno della religione
      ancora disperatamente
      per dare un senso unico al suo panico,
      alla sua colpa, alla sua speranza.
      Ci saranno fumate bianche per papi
      figli di contadini del Ghana o dell’Uganda
      per papi figli di braccianti indiani morti di peste nel Gange,
      per papi figli di pescatori gialli morti di freddo nella terra del fuoco.
      La lenta morte del mondo contadino che sopravvive popolando continenti
      Lungo migliaia di guadi, di coste formicolanti di pescicani,
      di isole carbonizzate dai vulcani aliterà
      in queste fumate bianche la lentezza arcaica
      della sua esistenza, giù nel futuro, lungo i decenni e i secoli.
      Uguale al padre furbo e al nonno,
      bevitore di vinelli pregiati,
      figura umana sconosciuta ai sottoproletari della terra,
      ma anch’essa coltivatore di terra,
      il nuovo papa, nel suo dolce misterioso sorriso di tartaruga,
      pare aver capito di dover essere il pastore dei miserabili,
      perché è loro il mondo antico e sono essi che lo trascineranno
      avanti nei secoli con la storia della nostra grandezza.
      Sorride il pastor paganus,
      e Renzo e Lucia si sposano lietamente davanti ai suoi occhi
      Ormai anche gli archi barocchi sono loro
      E i saloni d’oro di Don Rodrigo, e le grandi cattedrali.
      Lo spirito è retaggio del mondo contadino
      E tu sii il pastore del mondo antico
      Che in quello spirito avito.
      Queste sono le parole che l’angelo ha soffiato
      All’orecchio del dolce papa dal misterioso, paterno testone campagnolo

      L’URSS.



      Beati i figli i cui padri furono servi della gleba
      Beati i figli che possono dire mio padre si è fatto grandi risate
      Nel suo villaggio dove il padrone e i burocrati dello zar lo hanno fatto morire di fame per millenni.
      La puritana violenza con cui rido,
      la teatrale ingenuità con cui mi diverto nel mio villaggio, nella mia fabbrica è lui che me l’ha data
      Beati i figli i cui padri furono eroi
      Beati i figli che possono dire mio padre ha combattuto contro lo zar e il capitale
      E la libertà che io ho me l‘ha data lui.
      La terra che io semino e la fabbrica dove io lavoro me l’ha data lui.
      I luoghi dove io godo la mia gioventù me li ha dati lui.
      E io posso essere fiero di assomigliare a lui e pensare di assomigliargli per sempre.
      Voglio godermi diligentemente la vita facendo le cose che mi sono state negate nei secoli
      E che i giovani di provincia o di paese più ricchi di me per secoli hanno fatto
      Voglio un po’ di danza, di mondanità, di spettacolo.
      Tutto ciò che hanno avuto i padri ideali, non certo quelli carnali.
      E sono fiero di rivestirmi poi dei miei poveri panni di operaio il mattino sotto il severo sole della mia provincia, del mio paese.
      Tutto ciò che ebbero i iei padri ideali
      E il mio padre carnale non ebbe e tanto desiderò, io lo voglio avere.
      Voglio impadronirmi della cultura tradizionale,
      voglio essere in possesso di ciò che è bello e nobile
      e che per tanti secoli mi fu negato.
      Voglio istruirmi con lo spirito di un volonteroso padre
      Leggere come un padre giovane,
      conoscere col cuore di un padre religioso
      con obbedienza, perché sono il primo figlio istruito di una generazione che non ha avuto nulla
      se non i calli nella mani e le pallottole del capitale nel petto.
      E, ora che posso, per la prima volta nella storia della mia nazione
      Io, giovane del popolo, voglio ascoltare la voce della cultura, della scienza, dell’arte.





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      La Rabbia di Pasolini - L’Algeria

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      "ERETICO & CORSARO"



      Indice:




      L’Algeria e la lotta di liberazione. 


      Chi direbbe che il sentimento così profondo della libertà

      Abbia vita in cuori che hanno visi così umili

      Umili come lo sono ai margini del mondo

      Dove si lavora la terra o si ruba
      Vestiti con gli stracci dei padri
      Umili visi di figli venuti al mondo
      Senza spiegabile necessità.
      Eppure, dietro questi visi
      Di affamati o predoni
      Cova quel sentimento terribile
      Che la Francia chiamò libertà.
      Un figlio qualsiasi,
      che non ha che un viso,
      intorbidito dai secoli,
      viso di giovane assassino
      di facchino gentile
      parte dalla città e
      tratto da una necessità
      di cui non sa nulla,
      cammina, cammina coi compagni
      giunge al bosco nella montagna,
      e là si arma, si prepara, si battezza
      per la nuova, per l’eterna lotta.
      L’acidità delle boscaglie al sole,
      l’odore della montagna bombardata,
      la lotta partigiana ora è là.
      Ora è là che le pattuglie sudano.
      Ora è là che il ragazzo ha il languore della morte.
      Ora è là che è un disonore la pietà.

      Ah Francia, l’odio!
      Ah Francia, la peste
      Ah Francia, la viltà.
      Un piccolo aeroplano
      Li porta in cielo,
      e in cielo ronzano, ronzano, ronzano
      l’odio, la peste e la viltà.
      È la vendetta che ronza nel cielo, Francia,
      contro chi nulla sa
      e in sé ha la coscienza dell’universo intero.
      Ronza, ronza, ronza nel cielo, Francia, la tua confusione.
      Ronza nel cielo di una nazione
      Che ha la sua forza nella sua umiltà.
      Ronza nel cielo d’Algeria
      Una crisi che ricrea la morte
      E nella ricerca di una nova libertà
      Vuole vittime la cui vittoria è certa.
      Ah Francia, l’odio!
      Ah Francia, la peste
      Ah Francia, la viltà.
      Un ronzio terribile, idiota, inverecondo
      Una musica che finisce nel trauma di un bambino,
      in un singhiozzo che squassa il mondo.

      Sui miei stracci sporchi
      Sulla mia nudità scheletrita
      Su mia madre zingara
      Su mio padre pecoraio
      Scrivo il tuo nome.
      Sul mio primo fratello predone
      Sul mio secondo fratello sciancato
      Sul mio terzo fratello lustrascarpe
      Sul mio quarto fratello mendicante
      Scrivo il tuo nome.
      Sui miei compagni della malavita
      Sui miei compagni disoccupati
      Sui miei compagni manovali
      Scrivo il tuo nome.
      Libertà

      Sui nomadi del deserto
      Sui braccianti di Medina
      Sui salariati di Orano
      Sui piccoli impiegati di Algeri
      Scrivo il tuo nome.
      Sulle misere genti di Algeria
      Sulle popolazioni analfabete dell’Arabia
      Sulle classi povere dell’Africa
      Sui popoli schiavi del mondo sottoproletario
      Scrivo il tuo nome.
      Libertà.

      Gioia dopo gioia
      Vittoria dopo vittoria
      Gente di colore
      L’Algeria è restituita alla storia
      Gente di colore vive i giorni più belli della vita
      Mai luce negli occhi sarà più pura
      Mai gesti di felicità più cari.
      Gente di colore, sono i giorni della vittoria
      Di tutti i partigiani del mondo
      Gioia, ma quanto inestinguibile terrore.
      In mille parti del mondo
      E nella nostra memoria.
      La guerra non è cessata
      Anche se non vogliamo ricordare
      La guerra è un terrore che non vuole finire
      Nell’animo, nel mondo.






       
      Pier Paolo Pasolini, Eretico e Corsaro - Blog creato da Bruno Esposito
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